Un fatto disturba l’ostentato distacco nei confronti del settore dei giochi del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il quale peraltro non disdegna affatto i 12 miliardi di euro l’anno che lo stesso settore versa al fisco. Il fatto è che c’è una modalità di gioco che va come un treno, ma che invece di ingrossare il gettito fiscale, comincia a creare buchi e di conseguenza un sacco di guai. Questa modalità sono le slot on line o virtuali. Che furono introdotte otto anni fa con il cosiddetto decreto Abruzzo del 2009, quello del dopo terremoto. Anche se poi il gioco vero e proprio cominciò solo due anni più tardi, il 18 luglio 2011 dopo l’approvazione dei decreti attuativi da parte dei Monopoli.

Le slot on line ci hanno messo un po’ a imporsi, ma dopo una fase di rodaggio e poi di crescita contenuta, ora avanzano a due cifre percentuali: +25% a febbraio rispetto allo stesso mese del 2016. Mentre le slot fisiche, quelle di bar, pizzerie, centri commerciali e simili, dopo una lunga cavalcata si sono fermate. Anzi, il giro d’affari complessivo comincia a dare segni di cedimento: -4% a gennaio 2017 sullo stesso mese del 2016, per esempio, proprio in parallelo con la crescita del gioco virtuale. Il fatto dolente per il fisco è che le tasse sulle slot virtuali sono molto ma molto più basse rispetto a quelle riscosse con le slot fisiche. Su queste ultime il prelievo è di circa il 54% sulla spesa del giocatore, cioè sulla differenza tra le giocate e le vincite, mentre per le slot on line l’aliquota si ferma a un modestissimo 20 per cento.

All’inizio questa differenza di trattamento fiscale fu giustificata dai Monopoli con il fatto che nel mondo dell’on line la concorrenza straniera è forte e agguerrita e bisognava tenerne conto. Anche se poi con il passare del tempo e nel concreto è più che facile per i giocatori italiani saltare nello stesso sito dalle giocate legali a quelle estere non consentite, contrassegnate con il dominio dotcom. Della disparità di tassazione tra slot fisiche e virtuali ai giocatori, per la verità, importa poco o nulla, manco se ne accorgono: a loro interessa il pay out, la quantità di quattrini che per legge le slot o qualsiasi altro tipo di gioco deve retrocedere agli appassionati, cioè, detto in altro modo, la probabilità di vincita. Nell’on line però anche il pay out è più vantaggioso rispetto alle slot fisiche, 95 per cento contro il 70 delle Awp. Anche se alla fine probabilmente sono altri i motivi che più spingono per la crescita delle slot on line. Prima di tutto motivi comportamentali. Mentre per le slot fisiche il giocatore deve trovare il locale che gli vada a genio sottostando agli orari di apertura e chiusura, con le slot virtuali fa come vuole: si siede comodamente sulla poltrona di casa davanti al computer quando gli va, di giorno e di notte, lontano da occhi indiscreti e gioca come gli pare.

Sullo schermo gli appare la stessa schermata che avrebbe davanti a una slot al bar e anche il modo di puntare è più comodo di quello delle macchinette tradizionali. Basta fornire i propri dati al gestore del sito, aprire un conto, rimpinguarlo con una carta di credito e il gioco, è proprio il caso di dirlo, è fatto. Ovvio che stando così le cose anche tutto l’estenuante dibattito sull’opportunità di bloccare la proliferazione delle slot fisiche e sulla necessità di introdurre delle limitazioni topografiche nelle installazioni (non vicino alle scuole, agli ospedali etc…) perde di senso, spiazzato dalla crescita del gioco fatto in casa.

Gli effetti di questo capovolgimento tra fisico e virtuale si fanno vedere. Il giro di giocate sulle slot fisiche rimane elevato, oltre 49,5 miliardi di euro, ma fermo, mentre le slot on line sono già a 12,6 miliardi e il dato che colpisce è il tasso di crescita: erano a 7,4 miliardi di euro nel 2014, sono passate a 9,4 nel 2015 e sono cresciute di altri 3,2 miliardi l’anno passato. Inversamente proporzionale il gettito: le slot fisiche nel 2016 hanno portato nelle casse dell’Erario quasi 6 miliardi di euro. Quelle on line meno di 90 milioni.

Scippo di Stato

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