E’ tregua tra il ministero dell’Istruzione e le famiglie che mandano a scuola il proprio figlio con il pasto fatto in casa rinunciando al servizio della mensa. A sei mesi dalla sentenza del tribunale di Torino – contro il reclamo presentato dagli uffici di viale Trastevere contro l’ordinanza della Corte d’Appello che riconosceva il diritto agli studenti di portarsi il pranzo da casa e consumarlo nel refettorio con i compagni – il Miur ha firmato una nota con la quale accetta l’armistizio. Un risultato che, però, non è detto che sia una vittoria, visto che nella missiva, firmata dal capo dipartimento Rosa De Pasquale, si fa riferimento all’attesa dell’esito dei ricorsi proposti in Cassazione.

Nel frattempo, con questa nota indirizzata agli uffici scolastici regionali, il ministero riconosce ai genitori il loro diritto: “Si raccomanda – scrive la De Pasquale – di affiancare le istituzioni scolastiche e di fornire loro ogni possibile supporto per evitare situazioni di criticità, come, peraltro, risulta essere già stato fatto in questi mesi. In particolare come indicato dal ministero della Salute, si dovrà riservare ogni attenzione nell’attivare procedure atte ad evitare possibilità di scambio di alimenti”.

Ma ciò che i genitori promotori della battaglia della “schiscetta” ritengono particolarmente importante è questa parte della lettera del Miur: “L’indicazione è quella di adottare, in presenza di alunni o studenti ammessi a consumare cibi preparati da casa, precauzioni analoghe a quelle adottate nell’ipotesi di somministrazione dei cosiddetti pasti speciali”.

Un passaggio significativo secondo l’avvocato Giorgio Vecchione, padre di una bambina e legale torinese che in sede giudiziaria ha sostenuto le famiglie torinesi che hanno promosso l’iniziativa: “I bambini celiaci e intolleranti a qualche cibo che usufruiscono di pasti speciali non hanno tavoli separati come i bambini che portano il pasto da casa. Se per eccesso di zelo e cautela si vuol mettere da una parte, nella stessa mensa, chi porta il pasto da casa ciò non vuol comunque dire che i bambini che vanno a scuola con la ‘schiscetta’ perdono il diritto all’assistenza da parte degli insegnanti”.

Non solo. La raccomandazione del ministero striglia le orecchie anche a quei dirigenti che ad oggi hanno negato a mamme e papà il diritto a far mangiare i loro figli come vogliono: “Si deve continuare a mantenere – scrive il capo dipartimento – con le scuole un confronto costante e produttivo, supportandole affinché, nella gestione dell’erogazione del servizio per gli aspetti di competenza, non si discostino dalle pronunce della magistratura, così da escludere ogni profilo di responsabilità individuale”.

Intanto al ministero della Salute si sta costituendo un tavolo tecnico che avrà il compito di rivedere le linee guida sulla ristorazione approvate nel 2010. Una prima risposta alla sollecitazione che la stessa Anci aveva posto a Roma per far chiarezza sulla questione. Ad oggi, infatti, secondo Vecchione, in Italia la situazione è ancora a macchia di leopardo: ci sono dirigenti scolastici che obbligano i bambini che portano il pasto da casa a mangiare in aule diverse dagli altri compagni e presidi che negano categoricamente questa opportunità sancita dalla Giustizia. Solo a Torino, dove ormai ad andare a scuola con il pasto da casa sono 4500 studenti, si è istituito un osservatorio che ha il compito di disciplinare la questione.

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