Conflitti di interesse non dichiarati completamente, rapporti con le aziende chimiche finiti il giorno prima di lavorare per l’ente europeo, decisione presa anche sulla base di ricerche non pubbliche effettuate dall’industria. L’Agenzia europea per le sostanze chimiche ha stabilito il 15 marzo che il glifosato, l’erbicida più diffuso e discusso a livello mondiale, non può essere considerato cancerogeno, mutageno e tossico per la riproduzione umana. Sulla decisione, però, si moltiplicano adesso i sospetti delle ong ambientaliste, che già alla vigilia della riunione avevano denunciato il serio rischio di assenza di imparzialità.

Il parere dell’Echa respinge quanto dichiarato dall’Oms, che nel 2015, tramite l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, aveva classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno“. Come l’Echa, anche l’Efsa, l’ente europeo addetto alla sicurezza alimentare, ha chiuso le porte a quanto stabilito dallo Iarc, che ora, astenendosi dai commenti, fa sapere di mantenere inalterata la propria posizione. Due pronunciamenti comunitari che adesso potrebbero aprire la strada al rinnovo dell’autorizzazione all’uso del glifosato in Ue per altri 15 anni. Un’autorizzazione scaduta nel 2012 e già prorogata tre volte, l’ultima fino a fine 2017 e senza il consenso unanime degli Stati.

Anche studi non pubblici per la decisione
Per questo, la decisione dell’Agenzia per le sostanze chimiche è un punto di svolta cruciale, su cui però potrebbero aver pesato una serie di fattori non completamente chiari, denunciati da una ventina di associazioni tra cui Greenpeace, Pesticide Action Network e Friends of the Earth in una lettera indirizzata al direttore dell’Echa Geert Dancet già il 6 marzo, prima delle riunioni che hanno poi portato alla decisione finale.

A partire da come è stata presa la decisione che, denuncia la responsabile Agricoltura di Greenpeace Federica Ferrario, “riguarda solo la singola molecola del glifosato e non le oltre 750 formulazioni con cui poi arriva in realtà in commercio, ignorando così gli effetti sinergici con altre sostanze chimiche”. La base di partenza dei pronunciamenti dell’Efsa e dell’Echa “è stato un dossier iniziale redatto dall’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi. La valutazione sul glifosato effettuata da questo istituto è stata pesantemente criticata da Ong e scienziati indipendenti, secondo i quali è in contraddizione con le evidenze scientifiche. Fa infatti riferimento alla task force sul glifosato composta dai produttori di pesticidi“. Non solo: prima di esprimersi le due agenzie hanno preso anche in considerazione studi non pubblici realizzati dall’industria che anche lo Iarc non ha potuto visionare. Una pratica adottata sia dall’Efsa sia dall’Echa contraria però alla trasparenza che dovrebbe caratterizzare agenzie “le cui opinioni scientifiche formano le basi per l’azione regolatoria”, scrive Riss nella lettera.

Conflitti di interesse
C’è poi tutto il capitolo dei conflitti di interesse di alcuni membri del comitato per la valutazione del rischio dell’Echa, deputato a decidere sul glifosato, e del suo presidente. Il punto, spiega nella lettera Jorgo Riss, direttore dell’unità europea di Greenpeace, è che sia il presidente Tim Bowmer, sia i membri Slawomir Czerczak e Tiina Santonen, designati rispettivamente dal governo polacco e finlandese, hanno già svolto in passato la stessa attività di valutazione dei pericoli legati alle sostanze chimiche che sono chiamati a condurre per l’Echa, ma lavorando dall’altra parte, per conto delle aziende. In particolare, il vertice del comitato, che in teoria dovrebbe avere “la responsabilità di valutare e mitigare i conflitti di interesse degli altri membri”, ha lavorato “nella consulenza all’industria chimica per oltre 20 anni”, come dipendente delle società Tno and Tno Triskelion. Con un ruolo che per un decennio era quello di “costruire e gestire le relazioni con le aziende chimiche e gli altri clienti”. Il direttore dell’Echa replica che l’attuale presidente “ha tagliato ogni legame con il suo precedente datore di lavoro”, ma Riss fa presente: “Il contratto con queste organizzazioni è finito il 31 agosto 2012, il giorno prima che cominciasse il suo lavoro come presidente del Rac”.

I componenti polacco e finlandese Slawomir Czerczak e Tiina Santonen, invece, “sono entrambi dipendenti di istituti scientifici pubblici che guadagnano anche dal fornire servizi di consulenza sulla valutazione del rischio all’industria chimica”. Non solo: entrambi, denuncia Riss nella sua missiva, “hanno difeso pubblicamente le posizioni dell’industria. Nel 2013 hanno firmato una lettera di alto profilo sulla regolamentazione delle sostanze chimiche che interferiscono con il sistema ormonale, i così detti interferenti endocrini”, mettendosi contro le opinioni di molti altri scienziati e dell’organizzazione scientifica Endocrine Society. Ma nonostante la presa di posizione non sia menzionata nella dichiarazione annuale sugli interessi e le posizioni assunte nei cinque anni precedenti che i membri dell’Rca sono obbligati a fare, i due hanno ricevuto dall’Echa un secondo mandato. Dall’Agenzia rispondono alle associazioni che “come scienziati hanno delle esperienze e delle opinioni: per questo per noi sono così preziosi. Dobbiamo difendere la loro libertà di opinione. Anche se voi avete interpretato la firma di quella lettera come una presa di posizione pubblica, noi no”.

Sulla decisione dell’Echa ha subito espresso soddisfazione Agrofarma, l’associazione di Confindustria che raccoglie i produttori di pesticidi e insetticidi. Sull’onda dell’entusiasmo, però, si è fatta prendere un po’ la mano: “Anche Fao e Oms si sono espresse congiuntamente per l’improbabile cancerogenità della sostanza”, si legge nel comunicato ufficiale. In realtà, nel documento a cui si riferisce Agrofarma, le due organizzazioni si esprimono solamente sugli effetti del consumo di residui di glifosato nei cibi. Niente si dice sui rischi legati all’esposizione all’erbicida degli agricoltori o di chi vive vicino ai campi irrorati con l’erbicida.

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