La Siria è oggi “in un certo senso una camera di tortura: un luogo di terrore feroce e di ingiustizia assoluta”. Lo ha detto il 14 marzo, a Ginevra, Zeid Ra’ad Al Hussein, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, descrivendo la situazione in cui si trova il Paese, da sei anni sconvolto dalla guerra civile. “E’ molto probabile – ha proseguito il funzionario Onu – che decine di migliaia di persone siano attualmente detenute”. Al Hussein ha poi esortato “tutte le parti a porre fine alla tortura, alle esecuzioni e ai processi iniqui”. E ha lanciato un appello alle parti in conflitto a liberare i detenuti o “a fornire almeno le seguenti informazioni: i nomi delle persone e delle località di detenzione e i luoghi di sepoltura di coloro che sono deceduti”. Questo perché gli “attori umanitari e osservatori internazionali devono avere accesso a tutti i centri di detenzione”.

La denuncia dell’Onu è arrivata alla vigilia della ricorrenza del 15 marzo: la data che segna il sesto anno dall’inizio della crisi in Siria, cominciata con le prime manifestazioni di civili siriani a Daara, nel sud del Paese, che chiedevano riforme e che furono represse dalle autorità. In questi anni: centinaia di migliaia di persone sono morte; metà della popolazione risulta sfollata o rifugiata all’estero; oltre 13 milioni di persone sono in stato di necessità; la speranza di vita ridotta di 15 anni per gli uomini e 10 anni per le donne.

Da tempo ormai l’Onu ha smesso di fornire bilanci ufficiali delle vittime del conflitto. Le stime, a seconda delle fonti, variano da 300.000 fino a oltre 400.000. Su una popolazione che prima della guerra era di 22 milioni, gli sfollati all’interno del Paese sono oggi 6,5 milioni. Quasi 5 milioni sono rifugiati all’estero, per la maggior parte in Turchia, Libano e Giordania e, in misura minore, in Iraq ed Egitto. Mentre all’interno del Paese un milione di persone vive in città e aree assediate dalle varie parti in conflitto e questo fa si che non possano ricevere regolarmente aiuti umanitari.

Secondo dati Unicef, 2,8 milioni di minori vivono in aree difficili da raggiungere, di cui 280.000 in aree assediate. Molti continuano ad essere reclutati per azioni di combattimento. Mentre sei milioni dipendono dall’assistenza umanitaria. Oltre 2,3 milioni di minori sono rifugiati in altri Paesi e molti di loro non possono frequentare la scuola, così come per gli 1,7 milioni rimasti in Siria. Altri sono costretti a lavorare per contribuire al sostentamento delle famiglie e le bambine e adolescenti sono spesso costrette a matrimoni precoci.

Riguardo all’assistenza sanitaria, secondo l’Onu oltre la metà degli ospedali e dei centri sanitari sono stati chiusi o funzionano solo parzialmente e i due terzi del personale sanitario ha lasciato il Paese. Circa 11,5 milioni di persone (il 40 per cento bambini) non hanno accesso a cure adeguate e tra di loro vi sono 300.000 donne incinte. Ma a rendere ancora più critica la situazione sanitaria nel paese è il fatto che gli operatori continuano a essere colpiti.

The Lancet, prestigiosa rivista scientifica, ha pubblicato un rapporto in cui stima in più di 800 gli operatori sanitari morti in “atti di crimini di guerra” in Siria dal 2011, come il bombardamento di ospedali, sparatorie, torture ed esecuzioni sommarie. Atti, prosegue il rapporto, perpetrati principalmente dalle forze governative e dai suoi alleati. Il governo siriano e il suo alleato, la Russia, evidenzia il dossier, hanno trasformato la violenza e il rifiuto dell’assistenza sanitaria in un’arma di guerra. E questa “militarizzazione” della sanità “si è tradotta in centinaia di operatori sanitari uccisi, centinaia incarcerato o torturati e centinaia di strutture sanitarie deliberatamente e sistematicamente attaccate”.

Ma il “2016 è stato finora l’anno più pericoloso per i professionisti sanitari in Siria e gli attacchi proseguono”, ha sottolineato il dottor Samer Jabbour dell’Università americana di Beirut, uno degli autori dello studio pubblicato dalla rivista medica britannica The Lancet. Mentre i negoziati di Astana, in Kazakistan, dove si sono riunite le varie potenze regionali e internazionali che sostengono le parti in Siria, sembrano arenarsi in un nulla di fatto. E il destino del Paese rimane ancora incerto.

Articolo Precedente

Migranti, accordo con la Libia è un bluff. Record di sbarchi: “Il 99% dei gommoni parte dalle spiagge controllate da Sarraj”

next
Articolo Successivo

Usa, giudice delle Hawaii boccia il nuovo “Muslim ban” di Trump. “Andrò in Corte Suprema”

next