REGGIO EMILIA – Di attrici brave, enfatiche e empatiche, in questi anni ne abbiamo scritto, le abbiamo ammirate, applaudite, amate. Ci ha fatto commuovere e sorridere e riflettere l’immensità di Maria Paiato, gli occhi di Federica Fracassi, la carnalità di Arianna Scommegna, la pienezza di Francesca Ciocchetti, la mirabile precisione di Sara Putignano, l’estro di Anna Della Rosa, i chiaro scuri di Ilaria Matilde Vigna, l’aulico di Laura Marinoni, la prestanza di Manuela Mandracchia, l’accendersi di Mariangela Granelli, il fuoco di Micaela Casalboni, la signorilità di Ida Marinelli, il piglio di Debora Zuin, la profondità di Anahi Traversi, la carica di Elena Bucci, l’universalità di Monica Piseddu, la vocalità di Michela Lucenti, la sottigliezza di Daria Deflorian, il fragore algido di Ermanna Montanari, la compattezza di Francesca Mazza, la classe di Alvia Reale, la sostanza di Imma Villa, la finezza di Maria Grazia Mandruzzato, la drammaticità di Valentina Picello, la tenacia di Elena Arvigo, la forza di Maria Pilar Perez Aspa, l’intensità di Alice Spisa, la freschezza di Viola Graziosi. Intanto crescono bene Marta Pizzigallo, Claudia Marsicano, Vanessa Korn e Letizia Bravi. E tante ne abbiamo tralasciate.

Per esperienza Maddalena Crippa, Milvia Marigliano e Elena Ghiaurov stanno una spanna sopra, Adriana Asti e Anna Bonaiuto le guardano dall’alto. Certo, Mariangela Melato è inarrivabile. Altre due attrici vanno aggiunte a questa parziale nostra lista, donne con l’accento: Cinzia Spanò e Valeria Perdonò. Donne che parlano di donne.

La prima è un oggetto dimenticato in una casa abbandonata, soprammobile polveroso lasciato accanto a mobilie coperte da teli di plastica. E’ una donna sola che si racconta, per la prima volta La moglie si libera da tutti i silenzi che ha dovuto ingoiare e asserire. C’è la Grande Guerra sullo sfondo, Hitler fa capolino così come la bomba atomica. Ma è un fondale quello dove il Nobel Enrico Fermi si affaccia. La chiave è il rapporto tra i generi, tra il maschio decisionista e la donna che deve cedere e chinare la testa, rimanere un passo indietro e stare nell’ombra senza disturbare.

Con le leggi razziali, Fermi porta la moglie, ebrea, negli Stati Uniti a vivere a Los Alamos (lo scenario è da Breaking Bad) dove con altri scienziati lavora a progetti top secret. Protezione e salvezza sconfinano presto nell’isolamento. La Spanò (veramente convincente), tra Penelope, la Winnie beckettiana e l’Alice caduta nel buco, alza i ricordi come veli sopra l’arredamento in disuso e apre il suo vaso di Pandora.

L’attrice è una vestale in un abito color carne (senza pelle vulnerabile, si apre raccontandosi), spaurita e misteriosa, umana e terrena, con una grande capacità narrativa riesce a scolpire le parole della sua drammaturgia, portarci tra queste onde che delineano una gabbia dorata dalla quale non può fuggire, costretta a recitare il suo ruolo di moglie, attorniata da altre mogli (ci ha ricordato Truman Show), spersonalizzate e inaridite, donne parcheggiate messe in disparte. Grazie a piccoli tocchi inventivi, come la scena dello zucchero che è l’amarezza del sale, la polvere della noia e la sabbia del deserto (regia di Rosario Tedesco, dinamica con semplicità), emerge la necessità d’amore della consorte ma anche la sua voglia di partecipare, sapere, conoscere.

Le compagne, dovevano essere docili, mansuete, non fare domande sul lavoro dei mariti, lentamente venivano asciugate della curiosità instupidendosi in chiacchiere inutili. Dietro un grande uomo non sta una grande donna, la donna deve stare alla pari, altrimenti l’uomo non è così grande. Valeria Perdonò invece intavola un vero e proprio one woman show di carisma e personalità nel quale, con il supporto e l’appoggio del pianoforte di Marco Sforza, presenza silenziosa maschile, utile spalla di sguardi, ci racconta con fine ironia tra aneddoti di cronaca tristemente vera (la storia di Francesca Baleani, picchiata dall’ex compagno e gettata in un cassonetto), il destino di tante donne e dei loro Amorosi Assassini.

Il suo teatro-canzone è un dentro e fuori la scena, con un sarcasmo tra Monica Vitti e Paola Cortellesi, con le immancabili iconografiche scarpe rosse (Cenerentola, il sangue versato), adesso attrice ora donna coinvolta. Un recital dove si ride amaro in un’indagine alla Lucarelli, alla maniera della Leosini, sul ridicolo della giustizia, del maschilismo che lascia dietro di sé innumerevoli vittime l’anno: possesso, abuso, delitto d’onore, acido gettato in faccia, medici obiettori, quote rosa. Con leggerezza la Perdonò arriva in profondità. Accanto a un grande uomo sta una donna in piedi e non caduta a terra sotto le sue mani da orco.

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