All’inizio era la fotografia e si chiamavano fotografi. Adesso si chiamano artisti, sperimentatori di linguaggi, performer di immagini in movimento, innovatori del click o, in rari casi, semplicemente photoartist.

All’ombra di una Milano tutta in verticale, ai piedi dei grattaciali sberluccicanti di Porta Nuova, nel seminterrato di 5mila metri quadrati della Mall dal 10 al 13 marzo la Mia Photo Fair, ossia la Grande Fiera d’autore, un caravanserraglio di creatività, alza il velo sulla settima edizione. Pochi ci avrebbero scommesso alla prima edizione, fortemente voluta da Fabio e Lorenza Castelli. E invece 25mila visitatori l’anno scorso. E ogni anno la cartella stampa che ci danno all’ingresso aumenta di spessore. Praticamente un’enciclopedia. Non è facile districarsi fra vernici, focus, dibattiti, workshop, piattaforme di crowdfunding, premi, ma sopratutto ressa e sgomitamenti per entrare alla madre di tutte le prevue, quella solo e rigorosamente su inviti.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il padiglione, tra i più visitati, tra i più ammirati, è stato sicuramente quello del guru Giovanni Gastel: ci sono passati Marco Balich, Domiziana Giordano, il maestro Antonio Guccione e il sindaco Beppe Sala (e molti, molti altri). I suoi still life con visi scultorei di modelle hanno fatto scuola. Fanno tendenza, si riconoscono come un Valentino Haute Couture. E quando si parla del talento multidirezionale di Gastel si parla solo di Haute Photographie, con tecnica “old mix”, quelle a incrocio, di rielaborazioni pittoriche, sdoppiamenti, stratificazioni fino al ritocco digitale. Impossibile scopiazzarlo, ci hanno provato in tanti. Gastel rimane un unicum. E pensare che voleva fare l’attore di teatro sperimentale e il poeta. Di poesie ne scrive ancora ma oggi appendersi in casa un click gasteliano, in serie limitatissima, equivale a una tela tagliata di Fontana.

Proseguo e inciampo in Arturo Artom (fondatore, tra l’altro, del Forum della Meritocrazia) a braccetto con il pianista e compositore Michael Nyman (quello del cult movie Lezioni di Piano, per intenderci), hanno gli occhi catturati dal grattacielo fiammante che svetta e si assottiglia come un ricciolo (la chiamano l’altra madunnin). Immortalato da Irene Kung, altra fotografa cult. Sembra che sia uscita un attimo dal Mall, abbia fatto click e l’abbia messo in bella mostra.

Il lavoro di Patrizia Mussa, filosofa e antropologa, parte da lontano: dall’Afghanistan, dallo Yemen, un tempo meta di viaggi iniziatici, riserve di culture di risorse, quando erano magnifici “teatri senza guerra”. Per approdare al Teatro La Scala e con The Time Lapse vuole rendergli omaggio con un’originalissima tecnica: stampa su carta di riso e poi ci acquarella sopra…

Arriva da lontano, dalla terra degli Oscar, e molti dei suoi fans lo candiderebbero all’Oscar della fotografia. Da Los Angeles, dove è regista pubblicitario, la passione di Marshall Vernet  prende forma. Lascia il colore, usa solo bianco e nero, nel mezzo tutte le sfumature del grigio. Si ispira a Fellini, Godard e De Sica, le architetture dialogano con gli elementi naturali nel suo allestimento “Urbis et Natura”.

C’è il mega Micky Mouse “scomposto” del belga Mazel Galerie, le vedute surreali e i panni appesi di Napoli, gli alberi pietrificati del catanese Mimmo Moretti,  che si chiede prendendo in prestito le parole del grande poeta Federico Garcia Lorca: se un giorno le radici degli alberi  attraverseranno il terreno e s’incontreranno con il suo cuore sepolto….

C’è il “camouflage” di Lui Bolin (che nello scatto “Soft drink” si spennella e si nasconde in mezzo agli scaffali. Si stenta a riconoscerlo) e gli scatti iconografici di due artisti di fama mondiale, Jan Saudek e Mimmo Jodice che interpreta il lusso degli yacht Azimut Benetti. Mentre il videomaker Gianluca Balocco firma “Blood for Breakfast”, di denuncia contro la violenza sulla donna. Alla categoria dei big ci sono Peter Lindbergh, Bruce Weber, Fabrizio Ferri e David LaChapelle. E Lavazza, partner di Mia Photo Fair, propone il Caffè Artistico attraverso le immagini del suo calendario 2017 “We Are What We Live”.

Mentre Kartell cura un progetto speciale di allestimento e arreda con pezzi cult della collezione Kartell goes Sottsass e con sedute e tavolini disegnati da Philippe Starck. Ed è già un’anticipazione alla kermesse della Design Week. Manca poco.

Twitter@januariapiromal

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