“Fruiva dell’appoggio della cosca De Stefano” e operava “in modo stabile, continuativo e consapevole a favore del sistema criminale”. Il senatore di Gal Antonio Caridi è stato rinviato a giudizio e sarà processato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Lo ha deciso il gup Pasquale Laganà al termine dell’udienza preliminare del processo “Ghota” che vede alla sbarra 70 imputati coinvolti nelle più importante inchiesta portate a termine dalla Dda di Reggio Calabria nel 2016.

Circa la metà degli indagati ha scelto il rito abbreviato e tra questi anche l’avvocato Giorgio De Stefano, ritenuto una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta e vertice di quella “componente riservata” che detta le linee strategiche dell’intera organizzazione. Un “direttorio” delle cosche che, grazie ai suoi rapporti con la politica, è riuscito a infiltrarsi nelle istituzioni locali e nazionali. Per Giorgio De Stefano, così come gli altri imputati che hanno scelto il rito abbreviato, il processo riprenderà il 29 marzo. Chi ha optato, invece, per l’ordinario è il senatore Caridi rinviato a giudizio assieme a tutti gli altri imputati e tra questi l’avvocato Paolo Romeo, ex parlamentare del Psdi e già condannato nel processo “Olimpia” per concorso esterno con la ‘ndrangheta.

È lui il personaggio chiave del processo “Ghota”. Stando alle indagini (coordinate dal procuratore Federico Cafiero De Rago e dai sostituti Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino, Roberto Di Palma, Giulia Pantano e Walter Ignazitto), infatti,  Romeo e De Stefano sono ritenuti i “soggetti ‘cerniera’ che interagiscono tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione criminale”. Nel mezzo, politici come l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra (anche lui rinviato a giudizio) e il senatore Antonio Caridi che, sfumata l’ipotesi di essere prosciolto, aspetta con ansia una nuova decisione del Tribunale del Riesame dopo l’annullamento con rinvio della misura cautelare da parte della Cassazione.

Un eventuale scarcerazione gli consentirebbe di affrontare il processo a piede libero e soprattutto da parlamentare in carica. Al momento, però, resta nel carcere di Rebibbia e per lui il processo inizierà il prossimo 20 aprile davanti al Tribunale di Reggio Calabria. Al termine delle udienze preliminari, l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia rimane solido. Nessuno degli imputati è stato prosciolto. Restano, quindi, tutti alla sbarra: dall’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa all’avvocato Antonio Marra passando per il dirigente del Comune Marcello Cammera e il magistrato in pensione Giuseppe Tuccio. Quest’ultimo, assieme a Paolo Romeo e ad altri imputati, deve rispondere anche della violazione della legge Anselmi contestata pure a don Pino Strangio (parroco di San Luca), alla giornalista Teresa Munari, all’ex assessore comunale Amedeo Canale, Saverio Genoese Zerbi e al funzionario della Corte d’Appello Aldo Inuso.

Per loro l’accusa è di far parte di un’associazione segreta funzionale alla ‘ndrangheta. Nella precedente udienza, i pm hanno depositato nuovi atti e dichiarazioni di pentiti che parlano dei rapporti tra le cosche e la massoneria. Rapporti che saranno sviscerati durante la fase dibattimentale del processo e che coinvolto interi pezzi delle istituzioni.

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