Ospito con piacere il testo con il quale la giornalista e scrittrice Serena Marchi, autrice di un libro sulla maternità surrogata uscito in questi giorni (Mio, tuo, suo loro. Donne che partoriscono per altri, Fandango) risponde alle critiche di Massimo Fini uscite ieri sul Fatto. Serena ha girato una serie di paesi, Gran Bretagna, Canada, Ucraina, Stati Uniti, per andare a incontrare di persona le madri surrogate, ascoltando le loro ragioni e osservando dove vivono. Faccia a faccia, senza Skype o email. E senza paraocchi ideologici.

di Serena Marchi

– Anch’io non condivido le sue opinioni, ma non mi permetterei mai di definire cazzate le sue idee. Credo in un confronto con le idee altrui e per questo le rispetto.

– Sono due anni che in Italia si parla di maternità surrogata partendo dalle opinioni personali, da “io non lo farei quindi nessuno lo deve fare” o “io credo che sia una pratica abominevole quindi aboliamola in tutto il mondo”. Soprattutto nel nostro Paese, sono passati mesi e mesi in cui abbiamo assistito a dibattiti fondati soprattutto dall’idea personale di ognuno di noi.

– Il ritornello era sempre quello: è mercificazione del corpo della donna, sono tutte schiave, sono donne che si vendono, vittime di un mercato che vede i ricchi sfruttare i poveri.

– Io ho deciso di incontrarle dal vivo. Ovviamente non tutte e non in tutti gli Stati in cui questa pratica è consentita. Sono stata in Inghilterra, Canada, Ucraina e Stati Uniti. Ho deciso di andare soprattutto nei paesi occidentali dando per scontato che dove esista sfruttamento e mercificazione – in tutti i campi, non solo in quello della surrogacy – dobbiamo essere uniti a condannare.

– Col mio lavoro ho guardato in faccia la realtà, prendendone atto, andando oltre al fatto che una cosa la condivida o meno, che mi piaccia o meno.

– Non parto e non partirò mai da convinzioni personali. Parto da quello che il mio lavoro di cronista mi dice di fare ossia raccontare la realtà della vita e delle diverse, infinite scelte.

– Le donne che ho incontrato sono donne consapevoli di quello che fanno, vivono in paesi evoluti e democratici, hanno tutte un proprio lavoro, non versano in condizioni di bisogno o di povertà.

– Scelgono di utilizzare il proprio corpo in libertà, come diceva il motto delle femministe “l’utero è mio e ne faccio quello che voglio io”.

– Le mie intervistate hanno scelto – scelto – di partorire figli per coppie impossibilitate a portare a termine una gravidanza, nella maggior parte eterosessuali.

– Nella maggior parte dei casi, la portatrice partorisce (perché è lei che sceglie la coppia) per donne che hanno avuto un cancro, alle quali è stato asportato l’utero o che hanno avuto un grande numero di aborti e non sono riuscite a portare a termine la gravidanza

– Nella quasi totalità dei casi, mantengono i contatti con il bambino e i genitori, fondando una sorta di famiglia allargata di cui si sentono parte attiva e di cui fanno oggettivamente parte.

– Ho constatato incontrandole che sono donne felici, serene e sorridenti.

– Capitolo terzo mondo: tutti siamo concordi e non si deve nemmeno mettere in dubbio che lo sfruttamento – in tutte le sue forme, dal lavoro minorile agli operai sottopagati – sia da combattere e da reprimere. Da lì si vede che non ha letto il mio libro-reportage: le donne che ho incontrato dal vivo e intervistato non vengono da Paesi del terzo mondo. In Canada e in Inghilterra poi non ricevono nessun compenso.

– Che non sia umanamente possibile che una donna porti in grembo ecc ecc ecc lo dice Massimo Fini. Gli rispondono fermamente le donne che ho incontrato che, a quanto scrive lui, dicono cazzate.

– Sull’andare contro natura: l’uomo da sempre va contro natura. Da quando è sulla terra. Va contro natura perché costruisce case, auto, aerei, autostrade, scopre cure per curare malattie che in natura sarebbero fatali ecc.

La recente sentenza di Trento purtroppo pone attenzione alla pratica della gestazione per altri per gli omosessuali maschi. In verità alla pratica della GPA ricorrono per il 70 per cento donne, in coppia o meno, impossibilitate, come ho già detto, a portare a termine la gravidanza. I giudici di Trento hanno applicato il principio del legame affettivo tenendo al centro il migliore interesse del minore e hanno tutelato la continuità dello status filiationis riconosciuto a tutti e due i genitori all’estero.

– Caro Fini, essere genitori è una scelta di responsabilità indipendente dal sesso e dal dato genetico. E le donne possono scegliere, liberamente, anche se gli sembra una cosa strana e impossibile. Se ne faccia una ragione.

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