Ormai è una parola che sentiamo ogni giorno, ma cos’è il populismo? E’ davvero un pericolo? Quali sono le sue caratteristiche e come si misurano? Soprattutto, noi come dovremo reagire?

di Gian Luca Atzori

Un nuovo studio svedese, l’Authoritarian Populism Index (Api), prova a fare luce sul fenomeno che sta radicalmente cambiando il volto delle democrazie europee. Oggi in media un europeo su cinque vota un partito autoritario-populista. Partiti di destra e sinistra che dalla fine degli anni 80 ad oggi hanno accresciuto i loro consensi dal 9,8 al 18,7%. Il picco storico si è raggiunto tra il 2015-16 con la crisi dei rifugiati (+2%). In questo scenario, alle ultime elezioni, l’Italia ha visto la quarta maggiore crescita in Ue e nessuno dei paesi membri sembra opporsi a tale tendenza.

Oggi il termine populismo viene usato, e spesso abusato, per descrivere un’immensa varietà di fenomeni. Lo studio parte dunque dall’identificazione di fattori chiave, come l’estraneità o l’opposizione all’establishment; la fusione di ideologie contrastanti; la promessa di un cambiamento radicale rapido; l’enfasi sul conflitto tra cittadini e istituzioni o tra maggioranza e minoranze. I partiti che hanno questi requisiti son quasi tutti nazionalisti, euroscettici, contro la Nato o pro-Putin, ma soprattutto sono fortemente anti-liberali.

Seppur il populismo più che una minaccia sia una sfida per la democrazia, esso è un pericolo quando affiancato da ideologie autoritarie e totalitarie, proprio come fu per il nazismo. I partiti analizzati non sono però anti-democratici o totalitari come in passato, ma anti-liberali e autoritari. Oggi solo il 2% supporta i 147 gruppi totalitari in Ue, contro le 1342 formazioni autoritarie. La destra populista preme per accrescere sicurezza e difesa (v. Trump/immigrazione/terrorismo), mentre la sinistra predica la nazionalizzazione di banche o il controllo del libero mercato (v. Capitalismo di stato/Cina). Lo studio in Italia cita la Lega Nord come autoritario-populista di destra, e il M5S come formazione tra il dogmatismo anti-democratico e il populismo autoritario tendente alla destra.

Vi è inoltre un forte legame tra la crescita degli autoritario-populisti e la post-verità. Recenti studi rivelano che nelle ultime elezioni Usa, il flusso di bufale ha superato quella di notizie vere. Le più diffuse erano pro-Trump e circa il 75% degli intervistati è stato ingannato. Questo non è dovuto solo ad una scarsa trasparenza, ma ad un problema culturale più profondo. Un maggiore accesso ai dati non garantisce più trasparenza se la società non è educata alla rete e al consumo di informazioni. In Italia in particolare, uno su due è colpito da analfabetismo funzionale, ovvero incapace di analizzare un testo scritto. La stessa percentuale non usa l’internet, mentre 2/3 di quelli che lo usano entrano solo sui social.

Il primo passo per opporsi al declino autoritario consiste dunque nella web and news literacy, ovvero nell’istruire al pensiero critico, al consumo di informazioni e alla rete. Questo non vale solo per i cittadini ma anche per i media, che negli ultimi anni hanno incrementato la presenza di bufale sui loro canali. La news literacy parte indubbiamente dalle scuole, dove la raccolta e verifica di dati, notizie e fonti dovrebbero essere all’ordine del giorno.

Progetti di questo tipo sono già stati attivati dal Miur, uno in particolare, A Scuola di OpenCoesione, sprona i ragazzi al monitoraggio civico, educandoli al recupero e analisi dei dati sulla spesa pubblica e sul suo impatto sociale. Ci sono però anche altri strumenti al di fuori della scuola. Oltre alle segnalazioni su Fb, i tutorial e i consigli di lettura troviamo infatti delle App che attraverso un controllo costante del web riescono a calcolare l’attendibilità di un sito e segnalarlo accanto alla notizia. Vi sono anche piattaforme di fact-checking come Pagella Politica, che invece verificano le dichiarazioni dei politici.

Cè’ poi chi crede che la soluzione al populismo consista nel progredire con più meritocrazia o nel regredire con più censura. Quest’ultimo è un atteggiamento che solleva molte criticità sull’utilizzo statale di tale strumento. Prima di riflettere sui doveri della rete dovremo infatti riflettere sui suoi diritti. In Italia in questo senso possiamo dirci sia precursori che successori. Siamo tra gli ultimi paesi Ocse ad aver introdotto il Foia, l’obbligo alla trasparenza pubblica, ma siamo stati i primi in Europa a redigere una Costituzione di Internet, con quattro mesi di consultazioni online per delineare i diritti in rete in 14 punti.

Dal testo si evince come la priorità per la tutela di tali diritti risieda non solo in uno stato garante di accessibilità e formazione, ma anche in un popolo partecipativo e consapevole. La differenza tra web 1.0 e 2.0 sta proprio nel passaggio da comunicazione unidirezionale a interattiva. Il populismo autoritario è conseguenza della nostra incapacità di compiere lo stesso passaggio in tutte le sfere della società civile, e di dar vita ad una democrazia 2.0. Questa rivoluzione non si limita al cambio di establishment come professato dai populisti, non può essere unidirezionale. Spetta a tutti noi.

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