Lord mettono il bastone tra le ruote della Brexit. E del governo di Theresa May, che per la prima volta viene battuto nell’iter di approvazione della legge che darà il via libera all’attivazione dell’Articolo 50 del trattato di Lisbona: con 358 voti a favore e 256 contrari la Camera alta ha approvato un emendamento che chiede siano garantiti i diritti dei 3,3 milioni di cittadini europei residenti nel Regno Unito. Il testo ora deve tornare ai Comuni, a cui spetta l’ultima parola. La decisione dei Lord, i cui membri non sono eletti alle urne, potrebbe ritardare il calendario che era stato previsto dalla premier, che voleva avviare il procedimento già a marzo.

Decisivi sono stati i Lord laburisti, liberaldemocratici e indipendenti, ma anche qualche conservatore ha votato ‘sì’ a dispetto dell’appello lanciato in extremis dalla ministra dell’Interno, Amber Rudd, a non intervenire sullo scarno testo della legge. Il governo Tory – che intenderebbe far scattare entro fine marzo l’articolo 50 del Trattato, premessa all’iter formale di recesso dall’Ue – assicura di voler a sua volta tutelare i cittadini europei che vivono sull’isola. E tuttavia ha rifiutato finora d’impegnarsi prima di un accordo negoziale con Bruxelles che garantisca in “un regime di reciprocità” pure i diritti dei sudditi di Sua Maestà sparsi per il continente.

Ma i Lord questa volta si sono impuntati, anche per dare un segnale. E hanno messo nero su bianco una clausola che mira a vincolare l’esecutivo a mettere al sicuro il futuro di coloro che si sono trasferiti in Gran Bretagna da altri Paesi Ue al massimo entro 3 mesi dall’attivazione dell’articolo 50. Lady Hayter, viceministro ombra laburista per la Brexit, ha spiegato che il suo partito, come ribadito ripetutamente dal leader Jeremy Corbyn, non intende fare ostruzionismo contro la volontà popolare pro-Brexit espressa nel referendum del 23 giugno. Ma ha aggiunto che i diritti dei cittadini europei e degli ‘expats’ britannici “non vanno mercanteggiati gli uni contro gli altri”.

L’emendamento dovrà tornare adesso ai Comuni, che nelle settimane scorse l’avevano invece bocciato approvando la legge a larga maggioranza senza alcuna modifica. E che avranno l’ultima parola in quanto unica camera elettiva del regno. Ma l’inizio del cosiddetto ‘ping pong’ parlamentare, che nei prossimi giorni potrebbe magari essere allargato a qualche altro emendamento, minaccia se non altro di rallentare i tempi indicati da Theresa May, mettendo in discussione la scadenza di fine mese. Di certo appare tramontata l’ipotesi d’un annuncio dello start dei negoziati già al vertice Ue del 9 e 10 marzo.

Il dicastero per la Brexit guidato dall’euroscettico David Davis ha fatto in ogni modo stasera buon viso a cattivo gioco: “Siamo delusi – si legge in una nota ripresa dalla Bbc – della scelta dei Lord d’approvare un emendamento alla legge che i Comuni avevano passato senza emendamenti. Questa legge ha il chiaro scopo di dare attuazione al risultato del referendum e di consentire al governo di procedere con i negoziati”. Negoziati che partiranno comunque in tempi brevi, insiste il ministero, ribadendo che le garanzie nei confronti “dei cittadini europei e di quelli britannici dovranno essere definite insieme, quanto prima possibile”.

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