È stata la sua voce quando lui, cieco e paraplegico, di voce ormai non ne aveva più. La sua compagna inseparabile, quella che gli bagnava le labbra di sambuca perché a lui piaceva sentirne il sapore, che smontava le ruote della sedia a rotelle quando non entrava in ascensore, che ha sostenuto fino all’ultimo la sua battaglia per dire addio in modo dignitoso. Lei, Valeria, era la fidanzata di dj Fabo, 40enne che ha scelto l’eutanasia, ma è stato costretto a morire lontano dall’Italia, in una clinica svizzera dove è arrivato, ha detto nell’ultimo messaggio, “con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato“. Nel 13 giugno 2014 un incidente lo ha costretto al buio e su un letto. Al suo fianco sempre lei, sempre insieme. Dall’India, dove hanno vissuto insieme 5 anni, all’eterno letto dove era costretto a Milano.

Valeria, sempre e solo col suo nome. Una presenza che sui giornali esisteva soltanto per supportare la battaglia di lui, per fare la sua portavoce, spiegare le sue ragioni. “Fabiano è sempre stato molto libero di poter scegliere nella sua vita – aveva detto lei a Radio24 – e altrettanto vorrebbe fare fino alla fine, visto la sofferenza in cui vive. Fabiano parla di qualità di vita, non di quantità. E sopravvivere in quantità non rispecchia il suo concetto di vita”. Insisteva sulla volontà del fidanzato, che era diventata anche la sua, dopo il videomessaggio indirizzato al presidente della Repubblica, per chiedere una legge sul fine vita e mettere fine alle sue sofferenze. Voleva morire nel suo Paese, a casa sua, circondato dagli affetti di una vita, ma non ha potuto. Era lei – che non lo ha seguito in Svizzera perché, come Marco Cappato, potrebbe rischiare fino a 12 anni di carcere – che nel video ripercorreva con la sua voce la vita e la vitalità di Fabo, l’incidente e i disperati tentativi di trovare una cura, una riabilitazione che potesse funzionare. Raccontava il buio che lo aveva travolto perché venisse ascoltato il suo dolore.

Lui, davanti alle telecamere delle Iene, la chiamava “il mio angelo custode”, mentre lei lo accarezzava, gli sorrideva. Mostrava le foto attaccate alle pareti della sua camera: quelle dov’era in India, dove fa il dj, dove era vestito da donna. Circondato dai ricordi che non poteva più vedere. Raccontava che lei lo aveva “ciulato” (rubato, ndr) a una sua amica a cui piaceva, che la loro storia dura da una decina d’anni e che lei non è proprio buona. “Insomma – diceva Fabo – quando russavo mi infilava le dita nel naso”. Lei rideva, lui non riusciva, ma rispondeva divertito alle domande e alle richieste di ricordare. Avvertiva Giulio Golia delle Iene di fare solo “quattro chiacchiere con Valeria“, facendo affiorare un chiaro e bonario istinto di gelosia, mentre lei sistemava il respiratore, le garze, il mobile con tutto quello che a Fabo serviva ogni giorno, ogni istante dal 2014. È consapevole, lucida. Descriveva le sue contrazioni, i “dolori allucinanti” alle gambe e alle braccia, la contusione midollare che la medicina non riesce a curare.

Insieme le hanno provate tutte: cure ufficiali, cure sperimentali. E quando la speranza di guarire è finita lei non ha potuto più raccontargli altro. Lei lo sapeva, quanto Fabo: lui stava sopravvivendo, non vivendo. Che la vita era un’altra cosa. Che sostenerlo nella sua battaglia era tutto tranne che qualcosa di egoistico. Pensare soltanto a sé era volerlo tenere qui per forza, dentro il buio degli occhi e del corpo dove era stato rinchiuso. “Qualifico la vita in qualità e non in quantità. Andrò via col sorriso, andrò via libero”. Lei lo ha aiutato a lasciare quella gabbia.

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