Nel decreto Minniti sui richiedenti asilo ovviamente non c’è il “lavoro volontario obbligatorio”, ossimoro assurdo fatto circolare per settimane. La proposta aveva suscitato consensi e dissensi profondi, come se davvero fosse possibile imporlo (“avresti diritto all’asilo ma non te lo diamo perché sei stato pigro”) e come se davvero fosse possibile organizzarlo rapidamente per tutti (spetta ai Comuni?). Nel decreto si parla di “implementare l’impiego in attività di utilità sociale, su base volontaria, a favore delle collettività locali”: quelle, e non altre, sono le parole usate. Potrebbe essere un elemento decisivo per risolvere il problema dell’integrazione.

Ma facciamo intanto il ragionamento preliminare. Supponiamo di essere un paesino di duecento abitanti. Arriva uno nuovo, uno, una persona. Ce la facciamo ad accoglierlo? Direi di sì. Ecco: se anche ne arrivassero trecentomila all’anno li potremmo accogliere e ne avremmo, a medio termine, dei benefici. La cifra, lo ammetto, è un po’ sparata ma l’ho fatto a fini provocatori. La stima di Confindustria è di 160mila giovani stranieri necessari ogni anno. L’anno scorso, considerato anno record, a sbarcare sono stati 180mila. Era il caso di parlare di ondata insostenibile? Per loro che sopportano i pericoli del viaggio direi di sì, dato che hanno quasi due probabilità su cento di morirne. Ma per noi che viviamo in Italia davvero è insostenibile accoglierli? Certo, è impegnativo all’inizio, comporta lavoro, attenzione, cura. E’ un po’ come star dietro a dei figli grandi. Ma dichiarare che in Italia c’è il tutto esaurito non sarebbe solo ingeneroso e ipocrita, sarebbe anche una dichiarazione di fallimento.

Forse si teme che se ne accettiamo 180mila quest’anno poi aumentano sempre di più e diventano milioni. Ma rovesciamo il ragionamento. La mancata accoglienza, il mancato accoglimento della maggior parte delle richieste d’asilo, la condizione di limbo dei “denegati”, le tante espulsioni decretate sono un deterrente a partire per l’Italia? Direi proprio di no. La maggior parte dei richiedenti asilo africani occidentali con cui ho parlato in questi due anni erano andati in Libia per lavorare e senza pensare di proseguire per l’Europa. Poi la violenza della situazione li ha spinti a imbarcarsi. Adesso ne abbiamo forse decine di migliaia in questa condizione: che hanno abbandonato il loro paese d’origine da almeno due anni e che in Italia non riescono a ottenere il riconoscimento del diritto d’asilo. Ci sono infatti discrepanze notevoli nelle valutazioni dei giudici su questo diritto, sulla differenza sottile tra profugo e migrante economico.

Torniamo alle “attività volontarie di utilità sociale”: non obbligatorie per chi ha diritto all’asilo, ma potrebbero essere la strada per sbloccare la situazione dei cosiddetti “denegati”, per arrivare a quella condizione di “comprovata integrazione” che secondo la proposta di legge di Emma Bonino può dar luogo a un permesso di soggiorno. Prima di essere la soluzione migliore per loro è la soluzione migliore per noi. Se si vuole evitare che gli arrivi aumentino è in Africa e con l’Africa che vanno trovate le soluzioni, non con un’improbabile (difficile, costosa) prima che disumana espulsione di massa degli innocenti.

Ps. Per saperne di più vedi anche www.senzaasilo.org

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