Diciottomila euro di spese processuali per aver cercato di non far costruire un centro commerciale a due passi da una delle aree più celebri del patrimonio monumentale archeologico siciliano. È la richiesta che si è vista avanzare Legambiente a Siracusa. “La bellezza non ha prezzo, ma difenderla costa caro. Cercasi 18mila euro per Legambiente. Aiutaci ad estinguere il debito di 18.000 euro per l‘ingiusta condanna subita. Fai sentire la voce del Paese che difende la bellezza e i beni comuni aggrediti e minacciati”, si legge nel post pubblicato sulla pagina facebook degli ambientalisti aretusei che cercano “azionisti” per pagare il debito. La loro colpa? Dopo numerose iniziative e dopo essere intervenuti nelle diverse sedi giudiziarie, hanno impugnato in Cassazione la sentenza con cui il consiglio di giustizia amministrativa aveva condannato il comune a risarcire la Open Land: una società alla quale era stato in un primo momento negata l’autorizzazione a realizzare un centro commerciale sulla Balza di Epipoli. 

A pochi metri c’è un’opera militare costruita tra il 402 e il 397 avanti Cristo con lo scopo di proteggere la città da eventuali operazioni militari di assedio o attacco, le mura e il castello Eurialo. Monumento che dal 2005 è patrimonio dell’Unesco. Sarebbe dovuto bastare questo riconoscimento per garantire la tutela ad un’area di evidente pregio. Ma c’è anche altro, come ricostruisce Silvia Mazza sul Giornale dell’Architettura. Intanto il piano paesaggistico del 2012, che impone l’inedificabilità assoluta e, più specificatamente, nel rispetto del monumento archeologico, prevede, nell’immediato intorno, usi “sostenibili per il paesaggio”. A togliere qualsiasi residua velleità edificatoria sull’area c’è il vincolo archeologico del 1959, che ammette la sola destinazione agricola e il vincolo come area d’interesse archeologico, secondo la legge Galasso del 1989. Senza contare che dal 1999, c’è anche il vincolo paesaggistico denominato “Mura Dionigiane”, a tutela del patrimonio del paesaggio archeologico della città.

Vincoli che tuttavia non sono stati recepiti dal Piano regolatore del 2007, cosicché nell’area sarebbe possibile edificare importanti cubature. In questo intrigo di regole esistenti, ma contraddette, la Open Land si è inserita per realizzare il suo centro commerciale: il Fiera del sud, “una struttura immersa nel verde, attenta all’ambiente, a pochi minuti dal centro e in una zona di grande espansione”, come pubblicizzava il sito online da tempo inaccessibile. Nel giugno del 2009 la richiesta della concessione edilizia al comune, che la rilascia per silenzio-assenso solo in un secondo momento, dopo averla inizialmente rigettata perché, come ha riconosciuto il consiglio di giustizia Amministrativa nel giugno 2013, “non avrebbe potuto in alcun modo essere accolta difettando in radice i presupposti urbanistici per il suo legittimo rilascio”. Nel gennaio 2014 , quindi ecco che lo stesso Cga accoglie la richiesta di risarcimento di quasi 36 milioni di euro avanzata dalla Open Land al comune. Richiesta che a giugno 2015 sarà fissata a quasi 25 milioni di euro. Tutto finito? Ovviamente no. Nel novembre 2015, infatti, il Comune presenta il ricorso al Cga, con il quale chiede di rivedere la sentenza sul rilascio della concessione edilizia per la realizzazione del centro commerciale e il risarcimento dei danni. Tutto quel che accade dopo si conclude nel modo peggiore, con la condanna di Legambiente. Anzi con la realizzazione del centro commerciale. Forse la sanzione più pesante.

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