E dunque chiudiamo questo gioco del meglio e del peggio sanremese, che dura ormai da cinque giorni e non è poco. Lo facciamo con una formula semplice, netta, forse un po’ sommaria ma che rispecchia quello che si è visto ieri nella serata finale. Il meglio è stato sul palco, il peggio in platea. Mi spiego. Poiché alla fine tra ballerini, comici, eroi e superospiti a Sanremo conta ancora qualcosa chi vince (la centralità delle canzoni che tutti i conduttori evocano appena si insediano), la vittoria di Gabbani è una bella notizia.

Io non ho particolari competenze musicali ma di tutte le canzoni mi è parsa la più piacevole: giovanile, divertente, spiritosa, con qualche riferimento colto, sostenuta da invenzioni coreografiche sorprendenti, coinvolgente. Basta andare su Facebook e vedere cosa è successo in sala stampa durante l’esecuzione per capire l’impatto che ha su chi l’ascolta. L’obiezione fatta da qualcuno sul fatto che riecheggi quella che l’anno scorso vinse tra i giovani, non mi pare molto significativa. Gabbani canta canzoni alla Gabbani, ma anche Paoli faceva canzoni alla Paoli, Modugno vinse con Piove (Ciao ciao bambina), che ricordava Nel blu dipinto di blu (Volare) e, si parva licet, anche Fellini faceva film alla Fellini.

Quanto alla Mannoia, la sua canzone non mi sembrava tra le migliori del suo straordinario repertorio e poi la sua mancata vittoria rientra in una nobile tradizione che riguarda anche gare più famose: in conclave – si dice – chi entra Papa esce cardinale e il Nobel della letteratura ancora non l’ha mai vinto Philip Roth che ogni anno è pronosticato.

Purtroppo, a seguire dal vivo e dalle prime file lo spettacolo c’erano le solite facce: i dirigenti del servizio pubblico, i conduttori del programmi del servizio pubblico, quelle che non conducono più ma ci sono lo stesso, le Parietti, le Marini. Non dico che non dovrebbero esserci. Ma, se la regia e i presentatori rinunciassero a coinvolgerli così insistentemente, se la loro presenza fosse un po’ più discreta, se si evitasse di sottolineare quanto anche gli altri programmi della Rai si dedicano a Sanremo, forse ci guadagnerebbero il buon gusto e l’idea di servizio pubblico.

Così, invece, il peggio del peggio è in agguato e si materializza alle soglie della serata quando il direttore generale spiega a Mollica come questo festival sia stato importante non solo per la qualità dello spettacolo ma anche per la sua capacità di portare in scena gli aspetti reali e positivi del Paese. E cita come esempio l’impiegato modello di Catania, cioè la boiata più pazzesca di tutto il Festival. Ma questo l’abbiamo già detto.

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