Vedi a volte le vite parallele: anche Carlo Conti, come il suo amico Matteo, passerà alla storia come un rottamatore fiorentino. Solo che lui non l’avrebbe voluto, o forse sì, chissà. Sta di fatto che proprio al termine del suo mandato triennale al governo di Sanremo vengono epurati tre colossi del Festival. Epurati: perché una cosa è arrivare ultimi in finale, che poi quando ti aggiornano la biografia su Wikipedia è una medaglia da lucidare, e un’altra essere eliminati la sera prima, per far posto all’insulsaggine del mezzo-rap di Clementino o alle inopinate lacrime di Bianca Aztei per il suo amore Max Biaggi che però grazie a Dio non era caduto con la moto, ma sano e contento in prima fila. O al copia e incolla che Alessio Bernabei fa su se stesso, una controversa carriera solista cominciata l’anno scorso e già impantanata sul “che fare”. Per Al Bano, soprattutto, si è trattata di una perfidia da parte delle giurie: come se lo aspettassero al varco da cinquant’anni per aspettarne le prime incertezze, magari una clamorosa stecca, un inciampo qualunque pur di impallinare il vecchio Re Leone affaticato e ferito. Ma ci provassero loro, i cacciatori, ad affrontare una romanza dopo un infarto, roba che nel post-degenza è già un miracolo se ti ricordi la poesia di Natale al cenone. Si dirà: poteva risparmiarsela, la quindicesima presenza a Sanremo. Ma Al Bano vive di questo, non può smettere di sforzare l’ugola dopo tutte le tempeste vissute. E la sua cacciata dal Festival di Conti fa malinconia, anche se continuerà a fare lucrosi sold-out dal Kirghizistan alla Manciuria.

Quanto a Gigi D’Alessio, lo sgambetto è avvenuto curiosamente sul pezzo meno banale del suo curriculum: che sia musicista preparato lo sanno tutti, però si porta dietro quel pregiudizio variamente articolato su cui tanti, nell’Italia del politically correct a 360 gradi, si dilettano a infilzarlo. Per D’Alessio la mancata finale è un danno d’immagine non da poco, visto che a marzo tornerà in tv, su Raidue, come conduttore di “Made in Sud“. Infine Ron: merita rispetto, e non solo per quanto ha dato alla musica italiana. La canzone presentata al Festival non era “Piazza Grande”, ma comunque di grana fine, certamente migliore di altre premiate dai voti, nelle quali senti obbrobri come “ho trovato uno spiraglio nel tuo intimo” o “da quando stiamo insieme non esiste più una nuvola” (e la Società Dante Alighieri aveva chiesto di adottare un testo tra quelli in gara…). Eliminata anche Giusy Ferreri, che pure era uscita pian piano dalle sabbie mobili in cui si era impantanata con l’interpretazione disastrosa della prima sera: ma lei è giovane, ha già affrontato i suoi alti e bassi e le radio la salveranno dall’imbarazzante ritorno dietro le casse dell’Esselunga, dove emetteva scontrini prima di XFactor.

Resta il giallo: chi ha fatto fuori i quattro? Il sospetto automatico punta sul televoto, che per sua natura omaggia i beniamini degli adolescenti. Però ieri pesava meno che nelle precedenti serate, dunque bisognerà vedere se i mandanti sono da cercare nella giuria demoscopica (la cui composizione si saprà solo a giochi fatti), oppure in quella “di qualità” presieduta da Moroder e che passa non solo per esperti come Rita Pavone o Linus, ma anche per youtuber famosi non si sa per cosa, come Greta Menchi.

Come sia, l’atto finale di stasera ci chiarirà se la rottamazione è ancora in corso, soprattutto se non dovesse vincere la Mannoia, entrata nel conclave sanremese già da papessa. Due insidie ne frenano il percorso verso la sedia gestatoria: soprattutto quella incarnata da Gabbani con la sua sapida, effervescente trovata contro le manie occidentali di aggrapparsi allo spiritualismo orientale à-la-page. La sua scimmia nuda e ballerina di kubrickiana memoria, messa al servizio di un giochino musicale piroettante e genialoide, potrebbe valergli l’investitura. E dire che appena dodici mesi fa Gabbani fu salvato in extremis dall’eliminazione nella semifinale delle Nuove Proposte grazie all’insurrezione della Sala Stampa, i cui congegni per la votazione si erano inceppati: un incidente tecnico poi risolto, ma intanto il cantante era stato già congedato da Conti in diretta. L’altro candidabile al trono è Ermal Meta, che esce dal Festival comunque da trionfatore. La sua canzone sulle violenze domestiche subite dalla madre non è solo il “tema sociale” di quest’anno, ma un’accorata autobiografia, ben narrata e soprattutto sincera. Perché, alla fin fine, il pubblico si accorge quando canti cose vere, piuttosto che fesserie astratte. Vedi Paola Turci, mai così ammaliante da quando ha deciso di elaborare i suoi incubi in pubblico, traendone forza, nuova bellezza, convinzione, luce, e suoni alla Kings of Leon. O Fabrizio Moro: chissenefrega se sporca qualche nota o se la graffia troppo, la sua ballata scritta pensando alla figlioletta è qualcosa che ti prende allo stomaco, dietro ci leggi le perdonabili incertezze di un padre umano, troppo umano ma comunque presente.

Poi magari, a sorpresa, il Festival finirà appannaggio di Elodie (o di Sergione), e sarebbe la chiosa perfetta per l’edizione di Maria. Che ieri ha quasi stritolato in un abbraccio fuori aplomb il “suo” Lele, uscito sconfitto da “Amici” ma primo tra i giovani di Sanremo, e la cui fidanzata è in corsa per il titolo maggiore. Vincesse lei, i rotocalchi ci camperebbero di rendita per mesi, sognando i piccioncini a “Uomini e donne” o, in caso di rottura sentimentale, a “C’è posta per te”. Comunque la giri, questa è stata una settimana di governo assoluto defilippiano: alla fin fine, a leggerla in filigrana, la vera rottamatrice è Maria. A spese del “fratello” Carlo, che ora si dedicherà allo Zecchino d’Oro.

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