Il Nono Circuito della Corte d’Appello di San Francisco ha rigettato la richiesta dell’amministrazione Trump di reintrodurre il bando all’immigrazione da sette Paesi musulmani. I tre giudici, all’unanimità, hanno spiegato nella sentenza che la misura non rafforza la sicurezza nazionale e che l’amministrazione non ha portato “alcuna prova” al fatto che un solo cittadino dai sette Paesi incriminati – Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria, Yemen – abbia commesso atti di terrorismo negli Stati Uniti. La sentenza è una sconfitta clamorosa per Donald Trump, che in un tweet – tutto in maiuscolo – ha dato appuntamento alla Corte Suprema: “Ci vediamo alla Corte, la sicurezza della nostra nazione è in discussione!”.

La Corte d’Appello di San Francisco ha, nella sentenza, ribadito il giudizio di un altro giudice distrettuale, James L. Robart, che venerdì scorso aveva bloccato l’ordine esecutivo di Trump. La Corte ha però fatto di più; ha sconfessato con forza la richiesta dell’attuale presidente di un’assoluta libertà e indipendenza in tema di sicurezza nazionale. Alla pretesa di questa amministrazione che “le questioni di sicurezza nazionale non possano essere sottoposte a revisione, anche se quelle azioni contravvengano potenzialmente a diritti e protezioni costituzionali”, la Corte di San Francisco oppone un secco no: “E’ fuor di discussione che l’autorità giudiziaria possegga l’autorità di considerare sfide costituzionali all’azione esecutiva”. In altre parole: nemmeno una minaccia impellente per la nazione sospende la Costituzione.

E’ dunque un allargamento incondizionato dei poteri del presidente che la Corte blocca. I tre giudici Michelle T. Friedland, nominata da Barack Obama; William C. Canby Jr, nominato da Jimmy Carter; Richard R. Clifton, designato da George W. Bush, fanno tra l’altro riferimento a tradizioni giuridiche molto diverse e la loro bocciatura, all’unanimità, appare ancor più significativa. I giudici, nella sentenza, non si pronunciano sulla questione della possibile violazione da parte di Trump del Primo Emendamento, che vieta al governo di discriminare sulla base della religione. Ma il giudizio dei giudici appare comunque particolarmente severo anche su questo punto: gli Stati che si sono opposti all’ordine esecutivo (Washington e Minnesota, appoggiati da altri 18 Stati americani) “hanno offerto le prove di numerosi giudizi da parte del presidente circa la sua intenzione di mettere in atto un ‘bando ai musulmani’”.

Ma la Corte di appello di San Francisco va ancora oltre nello smontare, pezzo per pezzo, le motivazioni del governo. Scrivono, i giudici, che l’amministrazione ha mostrato “differenti interpretazioni dell’ordine esecutivo”; un’allusione al fatto che, in un primo tempo, il bando era stato dichiarato valido anche per i detentori di green card. Soltanto in seguito il White House Counsel, Donald F. McGahn, aveva precisato che l’ordine esecutivo non valeva per questa classe di stranieri. I giudici spiegano però di non potersi “basare su questo giudizio”, perché il Counsel non è il presidente e il suo potere “non fa parte della catena di comando”. Come a dire che i giri di valzer sull’interpretazione dell’ordine non fanno che aumentare le preoccupazioni circa la sua costituzionalità.

La bocciatura dell’ordine esecutivo di Trump è quindi senza appello. Si tratta di un atto che va al di là dei poteri del presidente; che non porta alcuna prova e necessità per la sua adozione; che è stato mal scritto e realizzato ancora peggio. La severità dei rilievi spiega la reazione furiosa di Trump, che pochi minuti dopo l’annuncio della sentenza ha fatto partire il suo tweet – “Ci vediamo alla Corte, la sicurezza della nostra nazione è in discussione!” – e che poi, dalla Casa Bianca, ha bollato la sentenza come “una decisione politica”, prevedendo una “vittoria molto facile” in appello. Più misurata la reazione di KellyAnne Conway, una tra le principali consigliere di Trump, che in un’intervista a FoxNews ha parlato di un semplice “incidente di percorso”, che prelude a una vittoria alla Corte Suprema. Esultano invece gli Stati che hanno aperto la battaglia contro l’ordine esecutivo; esultano le organizzazioni per i diritti civili (l’American Civil Liberties Union scrive che si tratta di “una vittoria per migliaia, potenzialmente per milioni di persone interessate dal bando ai musulmani”); esultano i democratici, che attraverso Donna Brazile, interim chair del partito, spiegano: “Si tratta di una sconfitta immane per la Casa Bianca”.

Ci si interroga su quello che potrà succedere ora. Probabile, come annunciato da Trump nel suo tweet, che il governo ricorra alla Corte Suprema nel giro di uno, due giorni. La Corte, per ora, è però limitata a otto membri (in attesa che venga confermato Neil Gorsuch): quattro sono di orientamento conservatore, quatto sono liberal. Una decisione di parità, quattro contro quattro, lascerebbe in vigore la sentenza delle corti inferiori. Trump avrebbe bisogno del voto di un giudice liberal per far passare il suo ordine esecutivo; cosa molto improbabile. Prepariamoci dunque a una battaglia legale dura e difficile. Che parte però con un punto fermo: che in tema di sicurezza nazionale nessuno, nemmeno il presidente, è al di sopra della legge.

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