“Lei non si deve preoccupare di questo mese di sospensione, si deve preoccupare delle vacanze più lunghe che dovrà fare.. forse definitive“. Questa è solo una delle frasi costate il rinvio a giudizio al presidente dell’ordine dei Medici di Lecce, Luigi Pepe. Le accuse formulate dal sostituto procuratore della Repubblica di Lecce, Paola Guglielmi, sono concussione, minacce, abuso d’ufficio e violenza privata: Pepe avrebbe costretto il responsabile di un centro pubblico a dimettersi, perché “ostacolava” gli interessi privati.

La storia, raccontata da IlFattoQuotidiano.it esattamente due anni fa, inizia in realtà nel 2011 quando nell’ospedale di Campi Salentina, in provincia di Lecce, nasce l’Imid, un centro altamente specializzato nella cura delle malattie immunomediate e ambiente-correlate. Quel centro, voluto dalla Regione Puglia e dalla Asl di Lecce, diventa riferimento anche per le malattie da uranio impoverito e per la Sensibilità Chimica Multipla, una forma gravissima e invalidante di allergia. La sua efficacia è scritta nei bilanci della Asl: il 30% dei pazienti che arrivano a Campi non sono pugliesi, tradotto in danaro sonante vuol dire che nelle casse pubbliche arrivano centinaia di migliaia di euro.

Nel 2013, però, il medico che ne è responsabile, Mauro Minelli, si dimette, la struttura chiude i battenti. Per il pm Gugliemi, le cause sono state “le minacce, gli avvertimenti, l’attività denigratoria commessa dal presidente dell’ordine dei Medici” che, “abusando delle sue qualità e dei suoi poteri”, colpisce Minelli con il solo scopo di chiudere l’Imid, perché “concreta e pericolosa concorrenza all’attività privata“. Al paziente, le cure in quel centro non costavano nulla, ecco perché andava chiuso.

Dal 2012 al 2013 Minelli viene travolto da un ciclone: Pepe, già senatore della Repubblica in due legislature,  inizia la sua crociata contro l’Imid perché – sostiene anche nel corso di una audizione in Commissione Sanità del Consiglio Regionale pugliese – ospitata in un ospedale “pericoloso” dal punto di vista strutturale e sanitario. In reparto arrivano anche i Nas, per acquisire agende, computer, cartelle cliniche, documenti di ogni genere. Un esposto anonimo aveva accusato il medico di usare la struttura pubblica per intascare soldi “in nero“. L’accusa è di peculato ed è avallata da una paziente che dichiara ai magistrati di aver pagato Minelli per una visita, non ricevendo fattura.

L’ordine dei medici, intanto, contesta allo specialista anche l’uso del titolo di professore – era ed è docente a contratto presso l’Università ‘Pegaso’ – e di essere esperto in malattie da uranio impoverito senza averne le competenze. Minelli viene convocato diverse volte dall’ordine dei medici, nel corso di una di queste, Pepe gli “parla in codice, per avvertirlo di ciò che potrebbe succedergli domani”. Succede, infatti, che lo specialista viene sospeso per un mese dall’esercizio della professione perché, secondo il presidente, aveva usato il titolo di professore non avendone diritto.

Minelli respinge le accuse, ricorre alla Commissione Centrale per gli Esercenti delle Professioni Sanitari (CCEPS). Poco prima della sentenza, il direttore dell’ordine gli spiega che “la Commissione non va mai contro l’ordine“. E gli suggerisce “di farsi un viaggio in agosto” perché sarebbe andato incontro “a muri di gomma, per poi… “. “Ormai – continua – hanno deciso. C’è stato un accanimento, mi dispiace… c’è stato un accanimento. Ma subire passivamente, intanto, ti fa guadagnare in salute e poi i risultati potrebbero essere diversi”.

Il ricorso di Minelli viene respinto e il mese di sospensione diventa effettivo. Anche il segretario dell’Ordine gli confessa che “la situazione è sfuggita di mano. Il verbale diceva che non doveva esserci accanimento, non doveva essere un provvedimento ad personam”. Ma poi la stampa pubblica la notizia della sospensione e la situazione “sfugge di mano a tutti”.

Due anni dopo, il sunto lo fa la stessa Procura. Le accuse di peculato nei confronti di Minelli sono state archiviate, le indagini non hanno trovato prove che dimostrassero l’aver intascato soldi illecitamente. A finire a processo, invece, è Luigi Pepe perché – si legge nel fascicolo – “sottopone Minelli a cinque procedimenti disciplinari. Tramite conferenze stampa, interviste, telefonate a colleghi, istituzioni e pazienti, diffama Minelli” dipingendolo come “mascalzone, millantatore, truffatore”. Il pubblico ministero, riporta anche un episodio: “In quel periodo Pepe usa, nei confronti di una paziente del centro, toni forti e minacciosi con lo scopo di ottenere dalla stessa, una denuncia calunniosa” nei confronti dello specialista. La donna si rifiuta.

Oggi, nei corrodi e nelle stanze che un tempo ospitavano l’Imid, sono ricoverati gli anziani. I pazienti rimasti orfani di un punto di riferimento sono sul piede di guerra.

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