L’impennata dei tassi d’interesse sul debito pubblico ha impresso un’accelerata al dietro front del ministro dell’Economia con Bruxelles, tanto da fargli spedire una nuova lettera alla Commissione Europea (LEGGI QUI IL DOCUMENTO) per rimediare rapidamente agli errori di quella di meno di una settimana fa. Il motivo lo ha detto lo stesso Pier Carlo Padoan in audizione in commissione Bilancio al Senato: “Spendere risorse è preferibile che pagare interessi sul debito”, dunque è necessario “evitare che aumenti la spesa per interessi sul debito pubblico” che nell’ultimo anno si è ridotta di 17 miliardi di euro, equivalenti ad un punto di Pil. Un tasto molto dolente, quello della preoccupazione dei mercati per un’Italia ancora stretta tra le istanze di Bruxelles e le esigenze della politica che ancora non ha accantonato le sirene di una nuova campagna elettorale. Del resto è sotto gli occhi di tutti la tensione che si sta facendo sentire in modo particolarmente pressante sui titoli di debito emessi da Roma, con i Btp decennali che martedì hanno sì registrato una lieve attenuazione dei tassi in calo di 2 punti base attestandosi al 2,35%, ma intanto la forbice rispetto ai rendimenti pagati dagli omologhi tedeschi, lo spread, è tornata ad allargarsi: in chiusura di giornata è arrivata a 200,2 punti base, sui massimi dal febbraio 2014 e ancora in crescita rispetto ai 199 punti di lunedì. Un andamento che sta preoccupando perfino il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, che alle telecamere di diMartedì ha tenuto a dichiarare che quella legata allo spread è “una situazione che non dà tranquillità ma che il nostro Paese può affrontare. Ce la facciamo a gestirla”, non senza aggiungere che “finché c’è stato Renzi non c’è stato lo spread, non è una sua eredità”.

Dal canto suo Padoan cerca di rassicurare i mercati come può, sperando di far cadere definitivamente nel dimenticatoio il no a Bruxelles che si leggeva tra le righe della prima lettera inviata alla Commissione il primo febbraio scorso e che è stato ritrattato a parole dopo neanche 20 ore. Quindi ha rafforzato il concetto: “l’ipotesi di una possibile procedura di infrazione è allarmante e va scongiurata”, un aggiustamento è dunque “indispensabile” perché la procedura comporterebbe “una sottrazione di sovranità sulle scelte di politica economica e costi superiori alla finanza pubblica del Paese, quindi sottrazione di risorse per la crescita e l’occupazione, a seguito del probabile aumento dei tassi di interesse che stanno già risentendo della accresciuta instabilità a livello europeo”.

Quanto a livello europeo, secondo quanto emerge dal verbale della discussione nel collegio dei commissari del 17 gennaio scorso il commissario europeo agli Affari Economici e Finanziari Pierre Moscovici ha riconosciuto che al governo italiano è stato dato poco tempo per rispondere alla lettera inviatagli dalla Commissione Europea intorno a metà gennaio, in cui si chiedeva a Roma di illustrare nel dettaglio misure strutturali volte a correggere il deficit per il 2017. Dal canto suo il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, convinto, soprattutto alla luce del caso della Lituania, che le regole della governance economica e di bilancio comunitaria vadano corrette, spinge perché il team di progetto incaricato di rivedere il patto di stabilità produca risultati “il più velocemente possibile”. Nonostante l’avvertimento sul poco tempo a disposizione, si legge ancora nel verbale, Moscovici “ha ritenuto che le autorità italiane dovrebbero prendere un impegno formale ad adottare specifiche misure di bilancio”. Meno indulgente del commissario francese il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, il quale “ha spiegato che l’Italia rispetta le regole del patto di stabilità per quanto riguarda il deficit, ma che è significativamente lontana dall’obiettivo per quanto riguarda il debito pubblico, che rappresenta il 133,1% del Pil. Ecco perché la Commissione è obbligata a stilare un rapporto in base all’articolo 126(3) del Trattato sul funzionamento dell’Ue”. Dombrovskis nel corso della riunione “ha riferito sui suoi regolari contatti con le autorità italiane, volti ad aiutare l’Italia a tornare ad una governance economica complessivamente in linea con il patto di stabilità”.

Da qui la lettera da Bruxelles a Roma che ha visto d’accordo i membri della Commissione. E che secondo la versione di Padoan “è parte di di una procedura fisiologica e consolidata”. Il ministro d’altro canto ora si ricorda che l’Italia è stata “già oggetto di avvio di procedure per debito eccessivo nel 2014 e nel 2015. In entrambi i casi il processo si è concluso senza l’apertura della procedura”. E’ così alle parole del 2 febbraio ha fatto seguire i primi fatti: nella giornata di martedì Padoan ha trasmetto una seconda lettera a Bruxelles indirizzata a Dombrovskis e Moscovici. Con un gioco di parole Padoan ha definito la missiva non “una seconda lettera all’Ue ma il completamento della prima“. Tuttavia il Tesoro si è peritato di allegare al documento il testo dell’intervento del ministro al Senato del 2 febbraio scorso, quello in cui Padoan ha fatto inversione a U rispetto alla lettera inviata a Bruxelles il giorno precedente. Allegati a parte, nel nuovo testo si chiede di estendere fino al 2020 lo split payment, che sarebbe scaduto a fine 2017. Si tratta del meccanismo che prevede che l’Iva sulle forniture alle pubbliche amministrazioni sia versata all’Erario direttamente dalla pubblica amministrazione senza passare per le casse dei privati, formalizzando al contempo la richiesta di verificare la possibilità di estendere l’autorizzazione anche a entità e transazioni inizialmente non incluse in questo regime, inizialmente circoscritto agli acquisti delle pubbliche amministrazioni. Nella lettera viene sottolineato che il regime di split payment ha riscosso risultati molto soddisfacenti per le entrate erariali senza peraltro effetti indesiderati dal lato dei fornitori grazie al funzionamento efficiente dei rimborsi Iva. Secondo indiscrezioni, una delle ipotesi è l’estensione del nuovo sistema di liquidazione Iva alle società pubbliche. Anche perché resta da capire come il regime si possa applicare tra privati senza alimentare l’evasione.

Seguono le “misure” per l’aggiustamento dello 0,2%. Secondo quanto scrive il Tesoro a Bruxelles l’aggiustamento chiesto dall’Ue, arriverà grazie a circa 2,5 miliardi di maggiori entrate e il resto dai tagli di spesa per raggiungere il totale richiesto di 3,4 miliardi. In particolare lo 0,05% arriverà dalla riduzione della spesa (di cui lo 0,04% vengono dai consumi intermedi e il restante 0,01% da agevolazioni fiscali). Il restante 0,15% sarà reperito attraverso l’aumento delle entrate di cui: lo 0,06% dalle misure di rafforzamento per la lotta all’evasione (split payment incluso) e lo 0,09% dalle accise e da altre tassazioni indirette. Calcolatrice alla mano lo 0,15% del pil equivale a 2,55 miliardi di euro, mentre lo 0,05% corrisponde a 850 milioni, per un totale di 3,4 miliardi di euro. La manovra di aggiustamento arriverà quindi presto. Probabilmente entro fine marzo, quando il governo avrà a disposizione le cifre Istat sui conti 2016, saranno approvate le prime misure, per avere poi un quadro completo entro il Def di aprile. Padoan in Commissione ha ribadito la composizione: un quarto di tagli di spesa e tre quarti di nuove entrate con circa un miliardo dal rafforzamento delle misure di lotta all’evasione. Il ministro ha poi spiegato che c’è l’attenzione del governo anche sulla Web Tax e sulla tassazione di Airbnb. Sono “aree da esplorare” e sulle quali il governo intende intervenire, magari con la prossima legge di Bilancio. Ha invece assicurato che le misure che saranno adottate non avranno impatto sui costi di beni e servizi: non sarà quindi toccato l’autotrasporto.

Quella in arrivo non è una “manovrina”, ha però sottolineato Padoan: “Preferisco parlare di misure di aggiustamento che hanno una componente espansiva”. Il ministro ha quindi insistito su “ulteriori misure per il sisma in senso lato, misure di ricostruzione e di messa in sicurezza che sono escluse dal saldo strutturale. Un miliardo impatta sull’indebitamento, non sull’aggiustamento strutturale”. Del resto secondo il collega Alfano che rappresenta Roma all’estero la manovra non serve. “Ho una mia idea, che ho anche espresso in Consiglio dei ministri e a Padoan: occorre negoziare con l’Ue, senza strappare la tela, ma riassorbendo” con altre voci, dall’immigrazione ai ricollocamenti al terremoto, le cifre necessarie, ha detto rispondendo ad una domanda di Giovanni Floris a diMartedì.  “Con il governo precedente abbiamo imboccato un cammino faticoso di crescita e non possiamo permettere che ci buttino dei sacchi di sabbia, quindi occorre negoziare con l’Europa per riassorbire” questo buco “in una dimensione più ampia”, ha aggiunto e a proposito del rischio di procedura d’infrazione ha sostenuto che: “Ci sono Paesi che ne hanno collezionate come si collezionano giornali arretrati, non credo caschi il mondo”.

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