I primi dati, diffusi, a luglio 2016, non facevano ben sperare. A sette mesi dalla partenza, la conferma: il part time agevolato per chi è vicino alla pensione è stato un flop totale. In tutta Italia solo 200 persone hanno infatti chiesto di beneficiare dello strumento creato dalla legge di Stabilità 2016 con l’obiettivo di permettere ai dipendenti privati che hanno versato almeno 20 anni di contributi e stanno per maturare il requisito anagrafico (67 anni e sette mesi di età) di concordare con l’azienda una riduzione dell’orario di lavoro tra il 40 e il 60%. Entrata in vigore il 2 giugno 2016, la misura è stata fallimentare in tutte le regioni: 33 domande accolte in Lombardia, 21 nel Lazio, solo una in Molise, Basilicata e Valle d’Aosta e 5 rispettivamente in Liguria e nelle Marche, stando ai dati comunicati dall’Inps. “Le cose vanno sperimentate e quando, come in questo caso, non danno buoni risultati bisogna prenderne atto”, è stato il commento del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, autore del decreto attuativo. “Si utilizzeranno strumenti diversi“.

“Quando siamo partiti con l’idea del ‘part time agevolato’ non c’era ancora il progetto per la flessibilità in uscita delle pensioni“, il famoso Anticipo pensionistico (Ape) del governo Renzi. “Poiché le due platee coinvolte sono sostanzialmente le stesse è chiaro che la scelta è stata condizionata“, si è difeso Poletti, dicendo in sostanza che le adesioni sono state poche perché i potenziali beneficiari hanno preferito attendere l’Ape, i cui decreti attuativi peraltro non sono ancora stati scritti.

Ma va detto che già lo scorso luglio il presidente dell’Inps Tito Boeri, commentando i primi dati, aveva messo in guardia sugli “interventi estemporanei e parziali” con “costi amministrativi superiori alle somme erogate”. I problemi del part time agevolato sono diversi: per prima cosa questa soluzione, che consente di ricevere ogni mese in busta paga la retribuzione per il part-time e una somma esentasse corrispondente ai contributi a carico del datore sulla retribuzione per l’orario non lavorato, è vantaggioso per chi è vicino alla pensione ma non per le aziende, che pagano una quota in più rispetto alle ore lavorate. Secondo i calcoli effettuati dai Consulenti del lavoro, su classi di retribuzioni annue lorde che vanno dai 25.000 ai 43.000 euro un lavoratore che firma un contratto di part time agevolato al 40% delle ore (16 a settimana a fronte delle 40 dell’orario intero) ha in busta paga il 72% della retribuzione, mentre l’impresa ha una riduzione del costo del lavoro del 49% a fronte di una riduzione dell’orario del 60%. Inoltre, di fatto l’opzione è preclusa alle donne, dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016.

Poi ci sono i costi per lo Stato, che per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata in modo che alla maturazione dell’età pensionabile il lavoratore percepirà l’intero importo della pensione.

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