Ha usato una calibro 9 Fabio Di Lello, l’uomo che ieri ha ucciso il 22enne Italo D’Elisa che l’estate scorsa aveva investito e ucciso la moglie Roberta Smargiassi. Un’arma legalmente detenuta che l’uomo, 34 anni, ex promessa del calcio, ha imbustato e lasciato sulla tomba del suo amore dopo aver giustiziato il ragazzo. Di Lello, che lavorava con i genitori nella panetteria di via Roma a Vasto, non riusciva ad andare avanti. Gli amici raccontano che ogni giorno andava al cimitero da Roberta. Appuntamento fisso con il Nicolino Smargiassi, papà di Roberta, al cimitero. Da tempo, però, sembra che andasse dicendo proprio al suocero che a “quello” gliel’avrebbe fatta pagare. “Hanno trasformato il nostro dolore e la sua morte come fosse un videogioco – aveva scritto in un post – Mi chiedo, dov’è giustizia? Mi rispondo, forse non esiste! Non dimentichiamo, lottiamo, perché non ci sia più un’altra Roberta“.

Ed è proprio lì che è stato fermato: si aggirava tra le cappelle gentilizie e i loculi dopo aver chiamato un amico e l’avvocato. L’uomo si è consegnato senza opporre resistenza al luogotenente Antonio Castrignanò, comandante della Stazione dei carabinieri di Vasto, al quale avrebbe confessato di essere stato lui a sparare a D’Elisa. I colpi esplosi dalla semiautomatica sarebbero tre, due all’addome, uno al collo; sarà comunque l’autopsia a chiarire. “È un fatto di cronaca che scuote le coscienze – dichiara all’Ansa il maggiore Giancarlo Vitiello, comandante della Compagna dei Carabinieri di Vasto – e fa riflettere su ciò che è accaduto. Un epilogo tragico che sconvolge tutta la città”.

L’avvocato di Di Lello: “Fabio era depresso” 
Italo D’Elisa
era indagato per l’omicidio di Roberta e a breve avrebbe dovuto comparire davanti al gup per l’udienza preliminare. “Dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente, non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi” spiega, intervistato da Radio Capital, l’avvocato Giovanni Cerella, già legale di parte civile per il procedimento che riguardava l’incidente in cui aveva perso la vita la donna, ora difensore di Di Lello. “D’Elisa – dice l’avvocato – tre mesi dopo l’incidente aveva ottenuto il permesso per poter tornare a guidare la moto, perché gli serviva per andare a lavorare. Fabio era sotto choc, era depresso per la perdita della moglie, andava molto spesso al cimitero – spiega ancora il legale – pensava giustizia non fosse stata fatta ma incontrandolo non ho mai avuto l’impressione che stesse ipotizzando una vendetta. Sono rimasto sbalordito quando ho saputo. Lui non aveva dimestichezza con le armi”. Infine, sulla tesi difensiva di D’Elisa secondo la quale al momento dell’incidente Roberta Smargiassi avrebbe indossato male il casco Cerella dice: “C’è una perizia che ha fatto piena luce sulle responsabilità”.

L’avvocato di D’Elisa: “Era incensurato e non era un pirata della strada”
L’inchiesta sull’omicidio di D’Elisa è condotta dal pm Gabriella De Lucia. Gli avvocati sono in attesa delle decisioni della Procura, per conoscere il capo di imputazione, la data e il luogo dove sarà tenuto l’interrogatorio di garanzia. Il magistrato dovrà consegnare in giornata l’incarico dell’autopsia a Pietro Falco, responsabile di medicina legale dell’Asl Lanciano Vasto Chieti.

“C’è stata una campagna di odio da parte dei famigliari di questa ragazza che è stata coinvolta in questo terribile incidente che purtroppo ha portato a questo risultato. Ora ne vediamo le conseguenze. Vedevamo manifesti dappertutto. Continui incitamenti anche su internet a fare giustizia, a fare giustizia. Alla fine c’è stato chi l’ha fatta. Si è fatto giustizia da sé. Tra l’altro dopo tempo, quindi una premeditazione – aveva detto ieri l’avvocato Pompeo Del Re, difensore di Italo D’Elisa – Il percorso della giustizia stava andando avanti. Italo D’Elisa sarebbe dovuto comparire nei prossimi giorni davanti al gup. Ci era stata notificatla fissazione di udienza preliminare, nel corso della quale si sarebbe dovuto decidere se disporre o meno il rinvio a giudizio”. D’Elisa era indagato per omicidio stradale. “Ma a quanto pare. Italo è stato seguito, sono stati seguiti i suoi spostamenti e alla fine è stato ucciso. Sono stati esplosi più colpi di proiettile. È chiaro l’intento e la premeditazione da quanto si era verificato l’incidente”.  Dopo l’incidente D’Elisa, che era incensurato, era stato sottoposto a tutte le analisi e non era stato trovato né in stato alcolico né sotto effetto di sostanze stupefacenti. Dopo l’incidente si era fermato e aveva chiesto i soccorsi. In un comunicato, comparso a dicembre scorso sul portale zonalocale, Del Re, puntualizzava infatti che il suo assistito non era “un pirata della strada” in quanto “subito dopo il sinistro, pur essendo anch’egli ferito e gravemente scosso, non ha omesso soccorso, ma ha immediatamente allertato le autorità competenti e chiesto l’intervento del personale medico-sanitario”.

Il vescovo: “Con giustizia più veloce tragedia si sarebbe potuta evitare”
“La prima cosa che sento è un senso di grande dolore per le tre vite spezzate, quella della ragazza, del giovane ucciso ieri e dell’assassino che ormai, dopo quello che ha fatto, ha una vita distrutta e sconvolta per sempre”. È quanto sottolinea all’Adnkronos l’arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte.  Secondo l’alto prelato la tragedia poteva essere evitata “con un intervento rapido della giustizia e una punizione esemplare. Il legislatore deve essere attento alle leggi che fa e deve articolarle su uno spettro più ampio di situazioni – spiega – La magistratura deve fare il suo corso ma nel modo più rapido possibile. Una giustizia lenta è un’ingiustizia“. Infine il monsignore tiene a precisare: “Non c’è vendetta che può essere ritenuta giustizia. La vendetta produce sempre frutti dannosi, è un atto immorale”.

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