“Ieri, dopo essere tornato da Roma per dibattere insieme a centinaia di giornalisti (ironia della sorte) proprio di “fake news”, trovo una email di Google che mi informa di avere disattivato la monetizzazione del mio blog decennale (i banner pubblicitari), con la motivazione che inganno i miei lettori fingendomi una testata giornalistica (una “news organization”)”. Lo racconta Claudio Messora, ex responsabile della comunicazione del M5s al Parlamento Europeo, sul suo blog Byoblu e in un post sul blog di Beppe Grillo. “In fondo all’email una scritta raggelante: ‘Nessun ricorso: questa decisione è da considerarsi irrevocabile'”, aggiunge sottolineando che “il link di esempio fornito mostra un mio post dove, in uno spezzone video, un parlamentare della Repubblica discute in aula (durante un intervento “pubblico”, pagato con soldi “pubblici”, quindi la questione non ha a che fare con nessun copyright) della possibilità di fare un referendum sull’euro. Ho usato un titolo forte? Ho usato un testo di commento che incita all’odio? Niente di tutto questo: ho scritto poche righe, sobrie, talmente sobrie che al confronto il loden di Monti pare un giubbotto da metallaro”.

“Questo provvedimento, che mina seriamente la capacità di produrre informazione libera fuori dal tempio del giornalismo “autorizzato” aggredendone il modello di sostentamento economico – è la denuncia del blogger -, mostra quali siano gli obiettivi reali della campagna scatenata contro le fake-news: spegnere qualunque voce indipendente che possa restituire al termine “democrazia” un significato autenticamente spendibile, nel tentativo disperato di invertire il corso della storia e mantenere saldamente il controllo nelle mani di chi, politicamente, ha una fottuta paura di perderlo”.

Messora inquadra l’episodio nell’ambito del recente annuncio di  Scott Spencer, il dirigente Google a capo della piattaforma Adsense, quella che gestisce appunto il servizio di pubblicazione di banner pubblicitari sui siti web, di avere “già rivisto oltre 550 siti web e di avere preso provvedimenti contro 340 di loro, colpevoli di ‘dare una falsa rappresentazione di se stessi e di ingannare i propri lettori fingendosi testate giornalistiche'”. In pratica, sintetizza, “è la morte della rete per come Gianroberto Casaleggio ce l’aveva fatta amare”. Secondo il blogger, infatti “questa è la linea del Piave dell’informazione libera: va tenuta ad ogni costo. Google deve rispondere. Non bisogna arretrare di un centimentro. In gioco non c’è la mia modesta persona (come avrebbe detto Biagi), ma la rete come l’abbiamo conosciuta e amata e che, se lasciamo passare cose come queste, da oggi potrebbe diventare un cimelio da museo”.

Articolo Precedente

L’Unità, redazione in sciopero: “Clima avvelenato, l’ad ha minacciato i rappresentanti sindacali dei giornalisti”

next
Articolo Successivo

Caso Raggi, nel diffondere bufale c’è del metodo

next