“Un brivido, aver portato Lampedusa a Hollywood’’. Così in videoconferenza da Tokyo, dove è impegnato nella promozione del film, il regista Gianfranco Rosi commenta la nomination agli Oscar di Fuocoammare nella categoria miglior documentario. “Non ci credevo più, è stata una battaglia fino all’ultimo: nulla era scontato. Che dire, è stato un anno stupendo, da Berlino – dove il film ha vinto l’Orso d’Oro, – agli Oscar, il film è arrivato in 64 Paesi, sostenuto da tutti. Dedico questa nomination a Lampedusa e ai lampedusani. Ho già sentito il dottor Bartolo, il sindaco Giusi Nicolini: dall’isola alla notizia della candidatura agli Academy Awards si è levato il grido di tremila persone”. E il regista allarga il discorso al significato geopolitico di questa nomination: “Una risposta ai muri e alle paure di Trump. L’America è rimasta spiazzata da questo film: i deserti californiani sono un cimitero come il Mediterraneo. Lampedusa è diventata una metafora, uno spazio mentale universale, e Fuocoammare al di là delle sue intenzioni in America è diventato un film politico”. Conclude Rosi, “con il cinema non si cambia la storia, ma il grido di aiuto di Lampedusa è arrivato a tutti, anche Oltreoceano”.
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