Non si era mai vista, all’inizio di una presidenza, una crisi così violenta tra stampa e potere. Praticamente l’intero mondo giornalistico americano – con l’eccezione di Fox News e dei siti paladini del mondo conservatore come Breitbart – è schierato contro quella che viene percepita come l’invadenza aggressiva e autoritaria della nuova amministrazione. Dalla Casa Bianca ribaltano sui media l’accusa di falsità e coniano persino una nuova categoria di rappresentazione del reale: i “fatti alternativi”.

La nuova esplosione di polemiche nasce all’indomani dell’Inaugurazione. Tanti giornali, soprattutto sulla base del numero di passeggeri che hanno viaggiato sulla metropolitana di Washington, fissano il numero dei presenti a circa 250mila. Molti, anzitutto Associated Press, accostano le immagini della capitale il 20 gennaio 2017 a quelle del 20 gennaio 2009, per l’inaugurazione di Obama. Il confronto è impietoso; Trump ha richiamato molta meno gente. Il confronto diventa ancora più sfavorevole al tycoon nel giorno della “Women’s March”. Se si sommano gli americani che hanno marciato nella capitale a quelli scesi in piazza in altre decine di città americane si arriva a quasi tre milioni di persone. La manifestazione più partecipata della storia americana dai tempi del Vietnam.

Trump non gradisce. In visita al quartier generale della Cia, spiega che la sua inaugurazione ha portato a Washington più di un milione di persone e attacca i media anche sul tema dei suoi rapporti col mondo dell’intelligence: “Non c’è nessuno che li rispetti più di me, sono tutte invenzioni dei giornali” (qualche giorno prima, il presidente aveva accusato Cia e Fbi di appoggiare una campagna “nazista” contro di lui). Il momento più virulento della controffensiva di Trump arriva con la prima conferenza stampa del suo nuovo press secretary, Sean Spicer. Spicer, visibilmente alterato, col tono di voce alto sino quasi all’urlo, accusa la stampa di “un resoconto deliberatamente falso” del giorno dell’Inaugurazione; Spicer dice che questa amministrazione “riterrà la stampa responsabile” e ripete che “l’Inaugurazione di Trump è stata la più partecipata della storia, punto e basta… e i tentativi di diminuire l’entusiasmo sono vergognosi e sbagliati”.

Spicer finisce il comizio e se ne va, senza prendere una sola domanda dai giornalisti (che restano peraltro sbigottiti di fronte alla performance). E’ qualche ora dopo che KellyAnne Conway, una tra le principali consigliere del presidente, spesso chiamata in causa per spiegare e attenuare le sortite di Trump, si trova ancora una volta a dover chiarire le posizioni di questa amministrazione. Lo fa in modo curioso. Incalzata dalle domande di Chuck Todd di NBC, che le chiede perché Trump e i suoi continuino a insistere su fatti ovviamente falsi come il milione di persone all’Inaugurazione, Conway spiega che questa amministrazione vuole offrire degli “alternative facts”, dei fatti alternativi.

Cosa sono i “fatti alternativi”? Se lo sono chiesti in molti, alternando lo sdegno a clamorose prese in giro. Jill Abramson, ex executive editor del New York Times, parla di “frasi orwelliane” di Conway. Il Guardian dice che il nuovo presidente e il suo staff assomigliano sempre più a Groucho Marx che in “Duck Soup” diceva: “A chi credete? A me o ai vostri occhi?” Il New York Times compila un articolo in cui elenca i fatti e usa la parola ‘falso’ per bollare le dichiarazioni di Trump. Ma forse il più divertente è Andy Borowitz sul New Yorker. Per descrivere l’apparizione di Sean Spicer dal podio della Casa Bianca, scrive: “Un uomo evidentemente disturbato e paranoico è riuscito a eludere la security della Casa Bianca e a dare una conferenza stampa”. Sulla performance di Spicer interviene anche Ari Fleischer, press secretary di George W. Bush, che spiega la cosa per quella che è: “Queste sono cose le dici perché te le ha dette il tuo presidente. E sai che il presidente ti sta guardando”.

E’ il primo week end di questa presidenza e l’esplosione dello scontro tra Trump e la stampa americana è dunque già una realtà. E a questo si aggiunge la chiusura – almeno per ora – della pagina e dell’accout twitter in spagnolo della Casa Bianca. Si tratta di un debutto che va di pari passo con l’instabilità politica e sociale che l’ascesa di Trump alla Casa Bianca ha suscitato e che promette di rendere questa presidenza qualcosa di davvero mai visto nella politica americana. Il commento forse più azzeccato è comunque venuto in queste ore dal Washington Post, secondo cui “il modo tradizionale di fare giornalismo e raccontare un presidente è morto”. Le uscite di Trump, Conway e Spicer, mostrerebbero che questa amministrazione ha deciso di fare dei giornalisti “uno dei loro obiettivi privilegiati”. Secondo il Post, non bisogna però accettare la provocazione, che servirebbe a Trump per rinsaldare la sua coalizione e distogliere l’attenzione da cose ben più importanti. Quello che i giornalisti devono fare, scrive il Post, è credere nella propria missione, che è quella di “dire la verità, ritenere i politici responsabili delle loro azioni, scavare, concentrare la propria attenzione sulle azioni e non sui tweet sensazionalistici o sulle falsità da briefing-room”.

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