Quest’anno si celebrano vent’anni dalla nascita di un programma europeo che ha cambiato la vita a molti ricercatori. Si tratta delle Marie Curie-Skłodowska Actions, dal nome della scienziata franco-polacca vincitrice di due premi Nobel e conosciuta per il suo lavoro sulla radioattività. Fino ad oggi, 98.000 ricercatori hanno beneficiato del programma: tra questi, cinque premi Nobel e un premio Oscar.

Il programma è dedicato ai ricercatori di qualsiasi nazionalità che si trovano sia ai primi anni di carriera sia in una fase più avanzata. Il finanziamento, assegnato a proposte progettuali che hanno superato una rigorosa selezione sulla base di precisi criteri di aggiudicazione e una competizione a livello globale, è ammesso per ricerche interdisciplinari e intersettoriali su tutti gli argomenti: dalla ricerca umanistica, a quella sanitaria sino alle nanotecnologie. Oltre a beneficiare di una generosa sovvenzione, i ricercatori hanno la possibilità di svolgere un’esperienza all’estero e nel settore privato e di integrare la loro formazione con altre competenze o discipline utili allo sviluppo della carriera.

20 years of Marie Skłodowska-Curie in ItalyLa linea di finanziamento si articola in quattro diverse azioni: le Individual Fellowships (IF) sono rivolte ai ricercatori migliori e più promettenti, che abbiano già dimostrato l’eccellenza nel loro campo di studio e debbono già essere in possesso del Dottorato di Ricerca. Nell’ambito delle IF, che possono durare da uno a tre anni, il ricercatore può scegliere di svolgere l’attività di ricerca in Europa; di lavorare in un Paese Terzo (es. Usa, Australia, Giappone) e poi rientrare in Europa; di riavviare la propria carriera dopo un’interruzione o di essere reintegrato in Europa dopo un periodo di attività in un Paese Terzo.

Dal 2012 al 2016 le IF ottenute dai ricercatori italiani iscritti alla Marie Curie Alumni Association, l’organizzazione di ricercatori nata per fornire uno spazio di condivisione di esperienze e interessi tra coloro che hanno beneficiato o stanno beneficiando delle MCSA, sono complessivamente 145. Per la loro mobilità gli italiani preferiscono la Gran Bretagna e la Germania, seguiti da Francia, Danimarca e Olanda.

Nella maggior parte dei casi, dopo il periodo di mobilità all’estero gli italiani rimangono a svolgere la loro attività nei paesi che hanno scelto. Soltanto 40 ricercatori hanno preferito rientrare o essere reintegrati in Italia. Inoltre, solo 6 ricercatori non italiani hanno scelto l’Italia per la loro attività. Questo dato conferma la tendenza rilevata anche per gli Erc: l’Italia si dimostra un paese poco attrattivo nonostante gli italiani siano “bravi” e attraverso la loro ricerca ottengano ingenti finanziamenti all’estero a tutto vantaggio dei paesi europei “forti”.

Per i Marie Curie Researchers che hanno deciso di rientrare in Italia le prospettive sono incerte. Per molti non resta che andare all’estero con la conseguenza della perdita del patrimonio di conoscenze e competenze. In molti casi si tratta di ricercatori che sono approdati ai progetti europei grazie alla determinazione e alla passione per il proprio lavoro che non li ha fatti arrendere di fronte alla cronica mancanza di fondi e alle tante porte sbattute in faccia, a cui si aggiungono i farraginosi meccanismi di reclutamento che, com’è noto non soltanto in Italia, spesso nel Belpaese non premiano né competenza né capacità.

Alcune università italiane si sono attivate per non perdere questo capitale umano di eccellenza. L’Università Ca’ Foscari di Venezia, prima in Italia per numero di IF finanziate, ha lanciato il programma Marie Curie Plus One con il quale sostiene i ricercatori per un altro anno dopo la conclusione del progetto.

Un incentivo a scegliere l’Italia è offerto dalla presenza delle IF tra i programmi di alta qualificazione finanziati dall’Unione Europea, individuati dal Miur con il parere favorevole anche del Cun e Anvur. Attraverso questo decreto il Miur si impegna a coprire il 50% dei costi per la chiamata diretta dei vincitori delle borse triennali come ricercatori di tipo B che, dopo tre anni, possono diventare professori associati. Dai dati a disposizione, soltanto uno sparuto numero di università ha inoltrato la richiesta al Miur che, in questo caso, ha dimostrato di voler andare incontro all’esigenza di trattenere i ricercatori che hanno già superato una rigorosa competizione internazionale. Il resto del 50% deve essere coperto dai dipartimenti che non sempre hanno fondi sufficienti.

D’altra parte nei dipartimenti i Marie Curie Researchers devono fare i conti non soltanto con l’ostruzionismo interno e il timore che la loro presenza minacci l’avanzamento delle carriere di chi è già dentro l’università, ma anche con l’incapacità di comprendere la spirale virtuosa che si innesca ad avere ricercatori in grado di attrarre finanziamenti e con una spiccata indipendenza scientifica, caratteristica vincente per ottenere una Marie Curie così come un Erc.

Rimane indubbio il valore dell’esperienza di una fellowship tanto prestigiosa: per i ricercatori che l’hanno ricevuta si tratta di un periodo esaltante, di crescita esponenziale delle proprie capacità e competenze e di ampliamento delle relazioni internazionali.

Per celebrare i 20 anni delle Msca, l’Apre ha organizzato una giornata dedicata all’impatto del programma in Italia. Alla Sapienza Università di Roma si discuterà di come le fellowships abbiano inciso sullo sviluppo della carriera e sull’apertura di nuove possibilità per i vincitori.

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