A confrontarsi con uno dei libretti più utilizzati di Pietro Metastasio, quello della Didone abbandonata, furono diversi tra i più grandi musicisti del Settecento: a partire dal glorioso trionfo di Domenico Sarro, che per primo, nel mese di febbraio del 1724, la portò in scena al Teatro San Bartolomeo di Napoli, il testo verrà posto in musica, in ordine sparso, da Scarlatti, Albinoni, Händel, Proprora, Galuppi, Hasse, Jommelli, Traetta, Piccinni, Cherubini, Paisiello, Mercadante e moltissimi altri, per un totale di circa sessanta diverse versioni.

Tra tutti questi grandi e importantissimi nomi quello di Leonardo Vinci non è certamente da meno: anche il compositore di origini calabresi (Strongoli, 1690 ca. – Napoli, 1730), massimo esponente della scuola operistica napoletana, mise infatti in musica la Didone abbandonata metastasiana, portandola al Teatro delle Dame di Roma il quattordici gennaio del 1726. E fu proprio quest’opera a segnare l’inizio della collaborazione, nonché di una vera e sentita amicizia, tra Vinci e Metastasio, laddove il secondo non perdeva tempo a tessere le lodi del primo, sottolineandone la “grazia, l’espressione, la fecondità”. Venendo poi a conoscenza della morte di Vinci, avvenuta peraltro in circostanze alquanto anomale, queste pare furono le parole del massimo librettista settecentesco: “Povero Vinci. Adesso se ne conosce il merito e vivente si lacerava”.

È una coproduzione del Teatro dell’Opera di Firenze e del Teatro Verdi di Pisa a decretare la prima ripresa in tempi moderni di un’opera, la Didone abbandonata di Vinci, che così, dopo più di 250 anni, torna a far sognare il pubblico italiano, immergendolo nel fascino melodrammatico barocco e facendogli riscoprire un autore, Leonardo Vinci, che, nelle vesti di maestro di cappella del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo di Napoli, ebbe tra i suoi allievi una delle più grandi e imponenti figure musicali di tutto il Settecento: Giovanni Battista Pergolesi. “Vinci è il Lully italiano, vero, semplice, naturale, espressivo, e col miglior canto del mondo, senza esser ricercato; ha lavorato molto, benché sia morto giovane”, raccontava Charles de Brosses a proposito di uno di quelli le cui opere, insieme a quelle di Adolf Hasse e Leonardo Leo, diceva fossero le più apprezzate di quell’epoca. “Son regina e sono amante e l’impero io sola voglio, del mio soglio e del mio cor” sono solo alcune delle parole che il massimo poeta cesareo, Pietro Metastasio, mette in bocca alla sua Didone, donna, così come concepita dal grande librettista italiano, risoluta e fiera, abbandonata dall’uomo amato e tradita dalle persone a lei più vicine, dalla sorella Selene, rivelatasi anche lei innamorata del prode Enea, fino al confidente Osmida: “Selene, Osmida, ah tutti, tutti cedeste alla mia sorte infida, non v’è chi mi soccorra o chi m’uccida”. E rivolgendosi, infine, alla causa principale del suo dolore, a Enea, questo augurio, prima di gettarsi tra le fiamme e così porre fine ai suoi giorni, riserva all’uomo un tempo amato: “(…) l’infedele Enea abbia nel mio destino un augurio funesto al suo cammino. Precipiti Cartago, arda la reggia e sia il cenere di lei la tomba mia”.

Un finale drammatico e dunque alquanto insolito se rapportato all’intera produzione metastasiana, generalmente connotata dai lieti fini: un finale che tanto piacque al pubblico dell’epoca in un’opera che, confermandosi vera tragedia, scarseggia o, meglio ancora, non presenta affatto personaggi comici. L’Orchestra del Maggio è dunque alle prese, nei giorni di messinscena dell’opera di Vinci e Metastasio (8, 10 e 12 gennaio) con un pezzo di vera storia musicale che, nonostante il grande successo riscosso a suo tempo presso il pubblico romano, come tante volte capita cadde nel dimenticatoio.

A dirigere il tutto è un vero specialista del repertorio barocco, Carlo Ipata, che, in un’appassionante opera di ricerca del repertorio antico, ha già riportato alla luce inedite pagine di autori quali Boccherini, Jommelli, Porpora, Gasparini, Manfredini e tanti altri. Nei panni di Didone abbiamo invece una soprano già ampiamente apprezzata dal pubblico fiorentino in occasione del Farnace di Vivaldi del 2013, Roberta Mameli, anche lei esperta in repertorio barocco e debuttante, giovanissima, con un’altra Didone, la Dido & Aeneas di Henry Purcell al Teatro Comunale di Alessandria sotto la direzione di Edoardo Müller. Eccoci dunque di fronte a una di quelle operazioni di cui vorremmo parlare e narrare sempre più spesso, per tornare a conoscere, prima che apprezzare, il grande passato musicale italiano.

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