di Riccardo Pizzorno per Spazioeconomia.net

Macy’s, rete di grande distribuzione statunitense, sembra non passarsela tanto bene. Arriva infatti la notizia che il marchio è in procinto di chiudere 100 store in tutto il mondo, una percentuale del 15% del suo network. Ancora non è ben chiaro quali negozi saranno chiusi e quanti dipendenti verranno lasciati a casa. Gli ultimi dati parlano di un fatturato in discesa del 4 per cento a 5,3 miliardi di euro, mentre l’utile è crollato da oltre 190 milioni a poco più di 10 milioni.

La crisi di Macy’s è la crisi del modello di department store? Dagli Stati Uniti, come si sa, arrivano non solo le idee più originali e vincenti ma anche le avvisaglie della fine di un ciclo. Una riflessione anche per le nostre catene della grande distribuzione e di come il loro ruolo, una volta dominante, sia stato messo in discussione dalla crescita dell’e-commerce da una parte, e dallo sviluppo dei negozi monomarca dall’altro.

Fatta eccezione per l’Italia, il lusso è da sempre legato al successo dei department store, negozi di dimensioni enormi in cui si vendono migliaia di brand divisi in settori diversi (i department, appunto): uomo, donna, bambino, intimo, profumeria, ecc. Si pensi a Macy’s e Bloomingdales a New York, Printemps e Gallerie Lafayette a Parigi, Selfridges e Harrods a Londra… Visitati ogni giorno da migliaia di persone e con migliaia di dipendenti.

Il negozio principale della catena Macy’s, per esempio, a Herald Square a New York impiega 6.500 dipendenti durante il periodo natalizio, e fattura più di un miliardo di dollari all’anno su 220.000 metri quadri di superficie. Questo modello di business, tuttavia, potrebbe essere alla fine per un insieme di fattori che sta cambiando drammaticamente le regole dei gioco.

Da una parte, i brand stessi si sono resi conto che sviluppare la propria rete retail permette nel lungo termine di conseguire profitti più alti e, soprattutto, di avere maggiore controllo del proprio marchio. Senza dubbio, la concorrenza del canale online ha contribuito a questo lento declino (anche se gli esperti dicono che le vendite online costituiscono meno del 10% del quadro di vendita al dettaglio).

Quando è iniziato lo shopping online nel 1994, pochi avrebbero immaginato che i negozi brick & mortar avrebbero rischiato di scomparire. Lo shopping online è nato come un semplice sussidio online dei negozi, vendendo spesso solo pochi articoli del panel totale. Invece il volume di e-commerce è cresciuto in modo esplosivo in questi ultimi 20 anni, confondendo i confini tra online e offline.

Oggi le piattaforme mobili dominano oltre il 40 per cento delle vendite di e-commerce. Amazon, società top di e-commerce al mondo, ha il doppio dei clienti rispetto a Walmart, che ha oltre 6.000 negozi ed è la principale catena distributiva al mondo. In questo mercato, centinaia di centri commerciali hanno chiuso negli ultimi anni, in mezzo a un pullback dei consumi su abbigliamento e accessori e la crescita di e-commerce.

Il consumatore di oggi, inoltre, non cerca più necessariamente la scelta infinita, o gli spazi illimitati. E l’idea di passare un’intera giornata facendo shopping in un grande magazzino non è più così attraente se si può fare shopping velocemente dal proprio cellulare. Da qui, la preferenza per i negozi più piccoli, le boutique, che potendo offrire un servizio più personalizzato, riescono a far sentire i clienti unici e speciali in un modo sconosciuto ai department store.

Paradossalmente, ora siamo passati dalla politica delle aperture a quella delle chiusure: i network di negozi sono troppo grandi, anche per gruppi come Lvmh o marchi come Louis Vuitton. Non è solo una questione di andare a break even, il problema è che i millennials (i nati tra il 1980 e il 2000), i consumatori del futuro, acquistano sempre di più online.

Guardando ora a casa nostra, la realtà del retail in Italia di fatto può contare su un solo department store di lusso, La Rinascente. Per il resto, il panorama è costellato da una miriade di esercizi di piccole dimensioni, monomarca o multibrand, che hanno sofferto in modo drammatico la crisi degli ultimi anni. Vincono i discount, cioè i prodotti meno cari sul mercato: il dato che emerge da un’indagine di Mediobanca, conferma che la crisi non è passata, non nelle abitudini di consumo negli italiani,  e trova puntuale riscontro nelle indagini Istat sulle vendite al dettaglio. Viste in tenuta per la Gdo e in calo, talvolta drammatico, per gli altri formati distributivi.

E infatti i piccoli negozi continuano a chiudere o ad andare avanti tra mille difficoltà. Lo sottolinea anche Confesercenti, rilevando come la crescita registrata nel 2015 rimanga appannaggio della grande distribuzione, e solo di quella parte della grande distribuzione che può offrire prezzi stracciati. Tanto che la quota di mercato dei piccoli esercizi in sede fissa si è ridotta ancora di altri 2-3 punti decimali, per collocarsi al 27% circa. Poi certo ci sono casi di piccoli negozi che riescono a ritagliarsi uno spazio di eccellenza all’interno di alcuni quartieri grazie a prodotti di particolare qualità. Ma vale solo per chi può permetterseli.

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