Qualcosa si muove, in termini concreti, nei confronti dei test di consumo ed emissioni ambientali degli autoveicoli, con lo scopo di riportare i dati dichiarati dai costruttori più vicini alla realtà. Recentemente, infatti, il comitato tecnico veicoli a motore dei Paesi dell’Unione Europea ha dato seguito alle scadenze già previste dal regolamento del 2012 (dove veniva introdotta tra l’altro la soglia Euro 6), approvando e rendendo operative diverse misure preparate dalla Commissione Europea per modificare i test di omologazione.

In particolare, il pacchetto in questione – Red3 – prevede l’estensione delle prove di consumo ed emissioni, da effettuarsi su strada e non più sui banchi a rulli, anche alla rilevazione delle emissioni di particelle (Pn): questo obbligherà pressoché tutte le Case a dotare anche i mezzi a benzina a iniezione diretta di filtri antiparticolato specifici, per poter rientrare nei limiti.

L’introduzione di questi nuovi test avverrà a breve: da settembre 2017 sarà in vigore per i nuovi tipi di veicoli, da settembre 2018 dovrà essere applicata per tutti i nuovi mezzi. Le prove di omologazione su strada, tra l’altro, dovranno includere l’incidenza dei movimenti a breve raggio con partenza a freddo (tipici della marcia in città), che inducono consumi superiori.

Questi aggiustamenti dovrebbero contribuire ad introdurre finalmente un’inversione di tendenza nel divario esistente tra dati dichiarati e reali, che dal 2001 è costantemente cresciuto. La situazione, preoccupante, è infatti fotografata dal rapporto “Mind the Gap 2016”, curato dalla ONG tedesca Transport&Environment, organizzazione tecnica no-profit e politicamente indipendente che dal 1990 rappresenta 50 organizzazioni di 26 Paesi europei, in gran parte gruppi ambientalisti ed attivisti che lavorano per le politiche di trasporto sostenibile a livello nazionale, regionale e locale.

Secondo lo studio, dunque, la differenza tra test di omologazione in laboratorio e misurazioni su strada si trova in una crescita incontrollata: 9% nel 2001, nel 2012 è balzata al 28% per salire al 42% nel 2015; le previsioni sono di ulteriore salita al 50% prima del 2020. In pratica, nelle ultime stagioni, i guadagni dichiarati in termini di consumi ed emissioni risultano per circa due terzi puramente teorici.

Secondo i dati dell’Ente, come si legge nel rapporto, “i veicoli che guidiamo non sono assolutamente più efficienti, come i costruttori dichiarano: su strada, il progresso nella riduzione delle emissioni si è fermato per quattro anni”. L’enorme differenza, viene spiegato nel dettaglio – aggiungendo che all’automobilista medio costa ben 549 euro all’anno in maggiori spese per il carburante –, è causata dagli stessi costruttori che hanno sfruttato con crescente efficacia le falle nelle procedure esistenti dei test, oltre ad aggiungervi in alcuni casi l’uso illegale di dispositivi di manipolazione. Ad esempio, il mancato impiego di dotazioni ausiliarie (come la climatizzazione) durante i test vale di suo circa otto punti percentuali di divario.

Il rapporto T&E 2016 stila inoltre la classifica dei “buoni e cattivi”, nella quale punta il dito contro Mercedes che fa registrare un picco di gamma del 54%, a causa principalmente di due suoi modelli particolarmente distanti dai test di consumo reali, Classe A e Classe E che da soli fanno registrare addirittura il 56% di divario. Seguono sul “podio” Audi e Smart (49%), seguite a sorpresa da Volvo e Peugeot. Le tre marche più vicine al dato reale sono invece Fiat (35%), Skoda e Opel.

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