L’inno di Mameli cantato dal palco tutti insieme, Matteo Renzi che fa autocritica sul referendum e invita all’ascolto, la proposta di ripartire dal Mattarellum (che piace pure alla minoranza) nelle trattative per la legge elettorale. Sembrava che l’assemblea nazionale Pd stesse cercando di cambiare pagina: fuori il Movimento 5 stelle che litiga, dentro i dem che tirano il fiato dopo giorni di polemiche e musi lunghi per la sconfitta del 4 dicembre. Poi è salito sul palco il deputato Roberto Giachetti: “Speranza hai la faccia come il culo”. Il francesismo, ha spiegato, gli è venuto dal cuore ed è nato dopo che uno degli esponenti della minoranza dem ha detto di essere favorevole al Mattarellum: “Mi sembra il gioco dell’oca. Quando eri capogruppo lo avevi bocciato”. Fischi e applausi dalla platea, qualcuno lascia la sala indignato. Ed è di nuovo il Pd che conosciamo tra parole grosse e tensioni.

Matteo Renzi ha osservato la scena dal tavolo dei relatori con le mani nei capelli. E’ stato lui ad aprire i lavori e in quel discorso ha messo il suo piano per il futuro: che vuol dire restare, ma anche cercare di appianare le tensioni, mediare di più. Un’analisi “spietata” della sconfitta al referendum perché il Pd ha straperso al Sud, tra i giovani e nelle periferie dove regna la “disaffezione per la classe politica tradizionale”. Renzi ha esordito dall’assemblea Pd dopo che, come ha detto con una battuta, si “è dimesso quattro volte in una settimana superando la media in cui si dimette un democristiano in tutta la sua vita”. Volto quasi disteso, toni più concilianti del solito, il segretario ha in testa una scaletta per quella che definisce “la nuova fase zen: “Faremo il congresso nei tempi stabiliti”, “andremo al voto ma non sappiamo ancora quando”. A metà pomeriggio strappa anche l’approvazione dell’assemblea che dà il via libera alla sua relazione con 481 voti favorevoli, 2 contrari e 10 astenuti. La minoranza Pd non ha partecipato al voto perché, ha fatto sapere, è d’accordo con la proposta del Mattarellum.

Nel suo lungo discorso: l’amarezza per una sconfitta che in qualche modo il segretario non ha visto arrivare, la rassegna degli errori commessi e le spiegazioni sul perché non vuole lasciare la politica: “Ho pensato di mollare, ma nessuno ha il diritto di abbandonare il suo posto di guardia, lasciare che siano altri a riprendere il Paese. Nessuno può dire ad altri ‘vattene’ o dire a se stesso scendo qui perché mi sono stancato”. Una delle colpe più gravi? Non aver visto arrivare la politicizzazione del referendum. Quindi gli scatoloni fatti di notte perché non lo vedesse nessuno, il neon rotto nella scuola dei figli che gli ha fatto capire che “c’è un’Italia e una quotidianità che va rimessa al centro”. Il Pd ha perso nella quotidianità, ma anche sul web. E il riferimento è al M5s: “Abbiamo lasciato la rete a chi in queste ore è sotto gli occhi internazionali in quanto diffusore di falsità”. E infine l’attacco alla minoranza del partito che, ha detto, quando festeggiava le sue dimissioni ha colpito il senso di comunità del Partito democratico: “Un leader deve saper perdere, non può dire abbiamo ‘non vinto'”. Il riferimento è alle frasi dell’ex segretario Pierluigi Bersani e alle sue parole dopo aver perso il ballottaggio a Parma nel 2012.

di Manolo Lanaro e Alberto Sofia

Il discorso di Renzi davanti all’assemblea Pd – L’ex presidente del Consiglio ha esordito parlando della strage di Aleppo, per poi proseguire con la lunga analisi della sconfitta al referendum sulla Costituzione del 4 dicembre scorso. “Abbiamo perso, ho perso il referendum”, ha detto. “E anche questo ha segnato in modo molto forte il dibattito politico europeo. Faremo un’analisi molto dura, spietata, innanzitutto con noi stessi di quello che è accaduto al referendum. Un’analisi seria e severa, ma anche un sano senso di passione per la cosa pubblica devono segnare questa assemblea”. L’intervento di Renzi è arrivato a poche ore dal commissariamento di fatto della giunta Raggi, e proprio alla sindaca ha rivolto un attacco: “Qui a Roma voglio dire che la politica non è l’indicazione delle cose che non vanno, l’urlo di chi dice No e non propone un’alternativa. Se si fa così politica, il Paese non va da nessuna parte, si blocca il Paese. Se per bloccare la corruzione si bloccano le Olimpiadi, si blocca la propria città. E forse per bloccare la corruzione bisognerebbe scegliere meglio i collaboratori”.

L’ex presidente del Consiglio ha difeso il progetto del suo esecutivo e ha parlato dei mille giorni che però, ha detto, ormai sono il passato: “Abbiamo fatto riforme molto profonde; se due ragazzi si amano e, indipendentemente dall’orientamento sessuale, ora possono vivere insieme è grazie a una riforma del Pd”. Tra i provvedimenti ricordati, quello per l’introduzione delle Unioni civili e quello contro lo spreco alimentare. “Queste riforme non puzzano, segnano la grandezza del Pd”, ha dichiarato alludendo ad una frase di Massimo D’Alema riportata oggi da “La Stampa”. Al centro del suo discorso, naturalmente, la sconfitta al referendum e le ragioni che hanno portato gli italiani a bocciare la legge Boschi. “La politica non è denuncia, la politica è cambiamento”, ha continuato. “E il Pd ha accettato la sfida del cambiamento. La bocciatura delle riforme è un dato netto, di cui prendere atto. Eravamo a un passo della terza repubblica e sembra siamo tornati alla prima. Senza la qualità della classe dirigente della prima Repubblica. Durante la discussione della riforma e della riforma, noi abbiamo detto che quella riforma avrebbe fatto il bene del Paese e del governo”. E quindi: “Questo No blocca totalmente per i prossimi anni qualsiasi progetto di riforma costituzionale”.

Renzi ha ripreso le analisi del voto fatte nei giorni scorsi da analisti e giornali e ha dato la sua interpretazione dei risultati. “Non abbiamo perso, abbiamo straperso. Il 41 per cento in un referendum è una sconfitta netta. Sognavo di prendere 13 milioni di voti, ne abbiamo presi 13 e mezzo. Ma la grande partecipazione non li ha fatti bastare”. Il primo errore: aver perso voti nel Sud Italia. “Abbiamo perso al Sud, perché non c’è stato il coinvolgimento vero di una parte importante del Mezzogiorno, che ci aveva affidato la speranza. L’approccio è stato un po’ troppo centrato sul notabilato e un po’ poco sulle forze più vive del sud”. E ha quindi parlato degli investimenti fatti: “Abbiamo messo un sacco di soldi nel Mezzogiorno e sono certo che sapranno spenderli bene. Ma dico anche che aver messo tutte queste risorse senza essere riusciti a coinvolgere nel modo giusto le altre persone è stato un errore. Il Cipe ti fa ricostruire un ponte, la politica ti fa ricostruire una speranza. Se non lo facciamo noi non lo farà nessun altro, non lo faranno quelli che sanno dire solo di no”.

Poi il taso dolente dei giovani, quegli under 40 che hanno votato in massa per il No al referendum. “Abbiamo perso i giovani. Non siamo riusciti a convincere la nostra generazione. Siamo stati sconfitti in casa, tra i 40enni. Abbiamo perso l’andata in casa e i gol presi in casa valgono doppio. Non siamo riusciti a prendere questa generazione come avremmo voluto”. Quella fascia della popolazione, il Pd non è riuscito a coinvolgerla: “C’è una parte del Paese che abbiamo dato impressione di non coinvolgere, non includere. Compresi i 30 e 40enni. Parte del Paese a rischio populismo. Ma non è un problema di casta, è un problema di mancanza di comunità”. Quindi le periferie, altro terreno fertile per chi si è opposto al governo Renzi: “Nelle periferie del nostro scontento l’idea di un senso di comunità che si sfalda ha creato una maggiore disaffezione e distanza rispetto alla politica tradizionale. C’è bisogno di una risposta comunitaria, trovare le ragioni dell’appartenenza alla comunità”. Secondo Renzi il suo governo ha investito nelle periferie, ma non ha saputo raccontarlo: “Era il 2014, abbiamo fatto un lavoro serio ma raccontato male. Dobbiamo trovare una risposta non tanto economica quanto comunitaria. Questo lavoro lo abbiamo fatto ma non raccontato sul territorio”.

L’errore riconosciuto da Renzi è anche quello di non aver visto arrivare la grande “politicizzazione” della consultazione popolare: “Ho commesso l’errore della politicizzazione del referendum: non l’ho vista arrivare, ho sbagliato. Mi sono dimesso, qualcuno ha detto che il mio discorso sulla sconfitta era finto e falso. Ci sono state 19 milioni di persone che hanno detto basta. Tra il voto delle istituzioni e il voto del popolo non poteva che prevalere il voto del popolo. La ripartenza deve essere molto seria e fare tesoro di ciò che è accaduto”. Ma ha poi lanciato un messaggio ai partiti schierati per il No: “Se il voto politico è il 59 per cento, i signori del No non sottovalutino il 41 per cento del Pd. Se c’è una cosa certa oggi, è che il No non è una proposta politica omogenea. Il 41 per cento al referendum è una sconfitta. Attenzione però a non considerare questo straordinario popolo che sta scrivendo email meravigliose: 26mila email di persone che chiedono tessere e chiedono di non mollare. Questo popolo ha bisogno di trovare dei luoghi da cui ripartire per rimettersi in cammino”.

L’ex presidente del Consiglio ha riconosciuto le difficoltà di dover fare un passo indietro. Quindi una battuta: “Io mi sono dimesso quattro volte in una settimana e ho esaurito il numero di dimissioni medie della vita di un democristiano”. “Non è facile lasciare”, ha continuato. “Gli scatoloni li ho fatti di notte per non farmi vedere, ma quando sono uscito da Palazzo Chigi, guardando i militari che tributavano gli onori, io ho pensato ai miei figli. La sconfitta fa parte del gioco della politica e se tu non sei in grado di caricartela non sei un buon leader. Non si può stare in una comunità dicendo ‘abbiamo non vinto‘”. E qui il riferimento era alle parole dell’ex segretario Bersani dopo che il Pd, nel 2012, aveva perso il ballottaggio a Parma. “Il leader è chi ammette di avere perso e cerca di ripartire dagli errori. Se hai perso il giorno dopo devi cercare di essere migliore. Il leader non è colui che si mette al riparo dal vento e offre qualcuno dei suoi al folla ululante. Il leader si carica la sconfitta e riparte”. Quindi gli attacchi al fronte del No, fuori e dentro il Pd: “Certi atteggiamenti sono stati sopra le righe: non si può dire che con me si rischia la deriva autoritaria, quando da un lato ci sono partiti azienda che selezionano i dirigenti sugli interessi del leader e dall’altra aziende che fanno firmare contratti agli amministratori. Pensare che persone del mio partito festeggiavano le mie dimissioni ha ferito il senso di comunità del Pd”.

In merito al congresso, ha annunciato che sarà fatto nei tempi senza accelerare per quella che ha definito una “fase zen”. “Io pensavo che fosse la scelta migliore per il Pd. Ma la prima regola del nuovo corso deve essere quella di ascoltare di più. Ho accettato i consigli di chi mi ha detto di non fare del congresso il luogo dello scontro del partito sulla pelle del Paese e non piegare alle esigenze che sentivo le regole, non piegarle a nostro vantaggio. Siamo nella fase zen e ho accettato le regole dello statuto. Faremo il congresso nei tempi, non come resa dei conti”. Quindi un pensiero per il sindaco di Milano Beppe Sala che si è autosospeso: “Comprendiamo l’amarezza di Beppe Sala, ma abbiamo bisogno che si rimetta a fare ciò che i cittadini di Milano gli hanno chiesto di fare”.

Sulle elezioni anticipate ha invece rallentato, prendendo ancora tempo: “Stiamo andando al voto, ma non sappiamo quando e non è importante nemmeno sapere la questione. In questo momento chi ha paura di votare sono gli altri. Perché per loro va benissimo agitare la bandierina del 59% ma se li metti in una competizione elettorale come partito non possono più lamentarsi, devono iniziare a dire cosa pensano. Dicono che si deve andare a votare ma ne hanno una paura matta”. Il segretario ha detto di voler fare d’ora in poi il “talent scout”: “Non andrò in giro in camper ma chiederò mano per partito forte. Non mi vedrete fare il tour del Paese con i camper, è finito il tempo in cui riempivamo i teatri con le folle. Voglio lavorare in modo meno organizzato, arrivare all’improvviso, fare l’allenatore e il talent scout di giovani. Verrò a cercarvi uno per uno, voglio stanarvi e chiedervi di darci una mano per farci del Pd più forte”.

Renzi si poi espresso sulla riforma della legge elettorale, rilanciando la proposta del Mattarellum: “Noi chiediamo alle altre forze politiche di non fare melina sulla legge elettorale. Noi abbiamo messo la fiducia perché non c’era soluzione per chiuderla. Vogliamo giocare l’ultima possibilità di avere un sistema maggioritario o scivoliamo sul proporzionale? Io vi propongo di andare a vedere le carte sull’unica proposta che ritengo possibile. Propongo di ripartire dal Mattarellum“.

Il segretario dem ha chiuso parlando della sua decisione di non fare un passo indietro e di restare in politica nonostante tutto: “Confesso che ho pensato di mollare. Ma non possiamo lasciare che gli altri prendano il Paese. Nessuno può dire a se stesso: scendo qui perché mi sono stancato. Ti puoi dimettere da premier, ma non da cittadino. Da babbo. Mentre giovedì Paolo Gentiloni era in Europa, io sono andato al ricevimento degli insegnanti di mio figlio. C’era un neon che non funzionava, ma non lo avevo mai visto in una scuola perché ogni volta che da premier mi presentavo negli istituti sistemavano prima tutto. Questa è l’Italia: persone straordinarie che hanno professionalità che possono essere messe al servizio di un’ideale forte e che non sono coinvolte. Noi politici siamo abituati a vivere soltanto nei nostri luoghi comuni e non ci rendiamo conto che c’è una dimensione quotidiana che va rimessa al centro”.

Giachetti contro speranza: “Hai la faccia come il culo” – L’attacco più duro contro la minoranza del partito è arrivato dal deputato ed ex candidato sindaco in Campidoglio Roberto Giachetti. “Caro Matteo”, ha esordito, “dici che non cacci via nessuno ma io rivendico anche quella politica dove qualcuno ha ancora l’etica di domandarsi se ha ancora senso stare in quella comunità, che ci fa ancora qui. Mi riferisco a chi va in tv o rilascia interviste e butta fango sulla nostra comunità”. E quindi l’accusa sulla legge elettorale: “Mi sembra di trovarmi al gioco dell’oca”, ha detto. “Ovviamente penso che il Mattarellum sia una legge straordinaria e importante. Ancora in queste ore rimango leggermente allibito quando leggo il novello Davide Roberto Speranza dire che è una sua proposta. Ho cercato parole ortodosse per dire cosa io penso. E penso: Roberto Speranza, hai la faccia come il culo. Quando avevi la possibilità di votare il Mattarellum alla Camera eri il capogruppo e hai detto no”. Una parte della platea ha applaudito il vicepresidente della Camera ma una decina di delegati presenti in assemblea Pd ha lasciato la sala tra urla e proteste. E’ quindi intervenuto il presidente Matteo Orfini a redarguire Giachetti: “Non avresti permesso quando dirigi l’aula della Camera di usare espressioni del genere”. Giachetti si è difeso: “La parola culo è sdoganata in tutto il mondo. Ma ok, mi correggo: faccia di bronzo”.

Ministro Delrio: “Non dimentichiamoci che dobbiamo votare presto” – Tra i primi a prendere la parole c’è stato il ministro dei Trasporti Graziano Delrio che, pur condividendo l’autoanalisi lanciata da Renzi, ha chiesto di non dimenticare la necessità di andare presto a elezioni: “Non possiamo non dirci che il voto del referendum ci dice che dobbiamo votare presto. Grazie Matteo per aver detto di voler ripartire da un ‘noi’. Benissimo la conferenza programmatica proposta da Epifani, che parte dal basso. Trovo omissiva però la tua relazione, Matteo: il voto di domenica ha detto che gli italiani vogliono andare a votare presto”.  E poi a domanda diretta se si andrà a votare prima di settembre, ha risposto: “Per noi sì, ma lo scioglimento delle Camere dipende dall’iniziativa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e noi non vogliamo interferire con la sua azione che è stata saggia e preziosissima a risolvere una crisi in pochi giorni. Non vogliamo interferire ma la linea politica che ci siamo dati è quella di fare la legge elettorale prima possibile e di andare al voto. D’altra parte lo chiedono tutti i partiti”.

Grillo sul blog: “Renzi apre mercato delle vacche, subito al voto” –  Ad attaccare Renzi anche il leader M5s Beppe Grillo che sul blog ha pubblicato un post in reazione al suo discorso ribadendo che il Movimento vuole le elezioni anticipate: “Noi vogliamo andare al voto subito”, si legge, “con una legge elettorale che abbia il vaglio della consulta che si esprimerà il 24 gennaio. Tu vuoi aprire il mercato delle vacche e allungare il brodo per discussioni infinite sulla legge elettorale? Risparmiarcelo”. E quindi l’hashtag “Renzi fatti da parte”. “L’hai detto tu: ma non dovevamo vederci più?”. Poi continua: “Ancora tu oggi da segretario del Pd a dire cosa deve fare il Parlamento per la legge elettorale. Tu che hai lasciato un disastro nel Paese, morale, economico e istituzionale. Hai fiaccato moralmente e spaccato in due il Paese sul tema della Costituzione proponendo una riforma che nessun italiano aveva dato mandato di fare a te, non eletto. Hai lasciato un disastro economico con il record assoluto di poveri, un’ecatombe di imprese e un aumento di tasse che neppure Monti ci aveva spremuto così tanto. Hai sfasciato l’assetto istituzionale lasciandoci senza una legge elettorale pronta all’uso perchè hai pensato solo ai fatti tuoi”.

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