A rivelare il massacro di Srebrenica furono delle macchie bianche rilevate dai satelliti sulla superficie della terra bosniaca: le tracce delle fosse comuni scavate dai bulldozer dei cetnici (l’esercito degli jugoslavi in patria) poche ore prima delle esecuzioni. A rivelare i massacri di Aleppo potrebbe essere un nuovo genere comunicativo: il tweet-epitaffio. Medici, infermieri, giornalisti locali, semplici cittadini stanno inondando la rete di messaggi di congedo in cui si dicono certi che non verranno risparmiati dalle truppe di Assad perché “il solo fatto di appartenere al personale medico (e quindi aver curato sia civili che combattenti, ndr) – ha detto un infermiere al Guardian – è considerato un atto di terrorismo”.

Quando cadde Vukovar, in Croazia, nell’inverno del ’91, i serbi picchiarono a sangue e fucilarono sia i feriti che si trovavano nell’ospedale sia i combattenti feriti.

In un articolo intitolato Le bugie di Aleppo, Sebastiano Caputo scrive: “Ad Aleppo ci sono i soldati più preparati ma anche quelli più burberi. Io non ho le prove ma non ho dubbi che si siano commessi atti di violenza durante la conquista della parte orientale, non ho dubbi che alcuni civili abbiano pagato con la vita per aver ospitato guerriglieri a casa, oppure che siano stati fucilati davanti ad altri per punirli e marcare di nuovo il territorio. Sono tecniche di coercizione: se ne ammazza uno per educarne cento. A noi ce lo hanno insegnato gli americani bombardando intere città quando la guerra era finita da un pezzo. ‘Abbiamo cacciato i tedeschi ma ora comandiamo noi’, questo era il messaggio, o meglio l’avvertimento. Ora come si può raccontare la battaglia di Aleppo con categorie pacifiste? Ma soprattutto come si può criminalizzare un intero esercito come fanno tutti i mezzi d’informazione in queste ore?”.

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