Qui da noi si corre il rischio di nascere. Poi ci si abitua con gli anni e sono in pochi a farci caso. Rischiare di andare a scuola dipende dalle circostanze e dal luogo. Sotto una tettoia o i rami secchi con le spine affilate dal vento. E’ un rischio crescere e appena grandi di attraversare la strada. Ci si prende per mano fin dove è possibile e si spera di raggiungere l’altra sponda. Si assume il rischio di viaggiare senza sapere dove. Si rischia di tornare a mani vuote o di non tornare più quelli di prima. Si rischia di pensare e anche di tacere. Per le elezioni presidenziali poi non ne parliamo neppure. La democrazia è un rischio troppo grande da affrontare per la politica. C’è la polizia e l’esercito che sanno a chi dare credito. I poveri rischiano di scomparire nelle sabbie mobili della dimenticanza. Oltre quattrocento hanno preso il rischio di dare l’assalto alla rete metallica di Ceuta questo venerdì mattina. Feriti e dai piedi nudi sfidano il futuro.

nigerQui da noi si corre il rischio di vivere. Tra governanti corrotti e sistemi internazionali di ricatto. Coi diritti umani variabili a seconda del colore delle pelle e del portafoglio. Il rischio di detenzione, identificazione e soprattutto di espulsione. Il rischio di passare le frontiere col solo documento che il volto attribuisce all’umano. La storia è una migrazione che si racconta quando ancora non si è arrivati a destinazione. Hanno rischiato l’assalto del muro di lame taglienti alto sei metri. Un attacco da manuale in vari punti distinti della barriera che il Marocco protegge per conto della Spagna. A Ceuta i feriti sono oltre un centinaio, tagliati dalla politica e dalla deriva securitaria. Gridavano la libertà che non si trova da nessuna parte se non dentro se stessi, passati i fili spinati della paura. Saranno in seguito resi invisibili dai documenti e ricondotti al confine con un foglio di latta da esibire alle associazioni umanitarie. Ambulanze del sistema.

Qui da noi si corre il rischio di credere. Nel giorno che forse arriva senza annunciarsi. Nel lavoro che svanisce nel nulla e nelle raccomandazioni che puntellano l’economia informale. Nel rischio di prendere Dio come testimone dell’umana follia e di scusarlo al cader del sole. Arrivanole le malattie e le epidemie che seminano inutili feritoie nei cimiteri urbani. Rischia il vento di scavalcare i fili spinati e le macerie della democrazia mal nata. La ricchezza della povertà sperperata con illusorie promesse di facili supermercati di sogni invenduti. Rischiamo di credere ancora che il mattino dopo sarà diverso il suono delle parole. Imprestiamo tempo a chi l’ha perduto e inventiamo forme inedite di sopravvivenza decente. Per gli egoisti neppure un elefante non basterà per sfamare. Per chi è solidale anche la zampa di una cavalletta sarà sufficiente per nutrire il villaggio. Così afferma la saggezza dei contadini che rischiano ancora di seminare.

Qui da noi si corre il rischio di partire. Quando rimanere non serve o non basta più. Quando la sconfitta grida nel silenzio complice dei progetti di sviluppo integrato col niente. Rischiano di partire quando non sono pronti, preparati, scelti e eletti dalla sorte. Braccati, etichettati, sepolti nella sabbia e ricercati come i peggiori malfattori della storia contemporanea. Passano e assaltano la rete, colmano le cronache, arricchiscono quelli che per loro si sono fatti importanti. Partono rischiando di tagliarsi con le parole acuminate del diritto di asilo che cambia direzione. La Croce Rossa ha assistito centotré di loro feriti alle mani e al cuore dai tagli della civiltà. Rischiano l’esilio, la deportazione, la derisione, la cancellazione e la delusione. Si tratta dell’assalto alla barriera più importante da dieci anni a questa parte. Dicono le autorità competenti che altre centinaia di giovani sono stati respinti e interpellati dalla libertà.

Ma noi rimpiangemmo le vecchie catene/come il popolo ambiva nel deserto/l’ossequio al re per le sicure ghiande… (D.M. Turoldo, Tornino i giorni del rischio, 985)

Niamey, dicembre 016

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