Due mesi fa mese da Londra era arrivata la notizia che la terapia genica può fermare la malattia, prevenendo la formazione di pericolose placche nel cervello preservando le funzioni cognitive come è avvenuto in un esperimento pionieristico condotto sui topi all’Imperial College di Londra. Ed è sulle placche che si sono concentrati i ricercatori del Massachussets Institute of technology (Mit) che hanno utilizzato sui topi la luce per contrastare l’Alzheimer.

L’idea alla base della strategia, testata con successo, è semplice: gli scienziati hanno verificato come una terapia a base di flash di luci stroboscopiche (come quelle della discoteca) negli occhi stimoli le cellule immunitarie a divorare le proteine beta-amiloide, che si accumulano nel cervello causando la demenza.

Come spiega lo studio pubblicato sulla rivista Nature, il tasso perfetto di flash è di 40 lampi al secondo, un tremolìo a malapena percepibile, quattro volte più veloce delle luci stroboscopiche della discoteca. Lo sviluppo di proteina beta-amiloide è uno dei primi cambiamenti che si osservano nel cervello dei malati di Alzheimer. Si accumula, formando delle placche, che si ritiene causino la morte dei neuroni e la perdita di memoria. Da tempo si studiano modi per prevenire la formazione di queste placche con i farmaci, ma i risultati finora sono stati deludenti.

I ricercatori guidati da Li-Huei Tsai hanno tentato la strada che sfrutta la luce. Quando i topi sono stati messi di fronte ai lampi di luce per un’ora, si è notata una evidente riduzione della proteina beta-amiloide nelle 12-24 ore successive, nelle parti del cervello deputate alla vista. Facendolo tutti i giorni per una settimana, i cali di proteina sono stati ancora maggiori. Allo stesso modo, una stimolazione luminosa diretta all’area del cervello che gestisce la memoria – l’ippocampo – ha portato ad una riduzione di beta-amoloide lì. La luce funziona perché chiama a raccolta le cellule immunitarie che si trovano lì (le microglia), che agiscono da spazzine, mangiandosi agenti patogeni pericolosi, come le proteine beta-amiloide. L’idea è che eliminando la proteina, e fermando la formazione di placche, si riesca a bloccare l’avanzata della malattia e dei suoi sintomi. Si potrebbe così sviluppare una terapia indolore e non invasiva. Il metodo va ora provato sull’uomo, e ricercatori hanno già richiesto l’autorizzazione alla Food and drug administration.

L’articolo su Nature

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