“Ognuno di voi deve dire il 50% dei votanti rispetto agli aventi diritto quanto è: 2, 3, 10mila. Ognuno deve impegnare il consigliere comunale, l’amico, l’imprenditore e dire quante persone porta a votare. Guardiamo uno notoriamente clientelare come Franco Alfieri, che lui sa fare bene, come Cristo comanda, in maniera organizzata e scientifica. L’impegno che assume formalmente davanti a noi Franco Alfieri è di portare a votare 4mila cittadini di Agropoli in blocco, avanti, con le bandiere, la Madonna, entusiasti. Ora vedi tu come Madonna devi fare, offrire la frittura di pesce ad Agropoli. Fai come cazzo vuoi tu, ma tu devi portare 4mila persone a votare”.

Si tratta della notissima arringa di De Luca, davanti a 300 sindaci. Il Pd ha provato a derubricare il comportamento indegno di De Luca, facendo quadrato e addirittura ribadendo il fortissimo legame tra Renzi e il governatore, confermato nei giorni seguenti all’osceno episodio e che hanno visto protagonista Luca Lotti e il figlio di De Luca, responsabile dei comitati locali per il Sì.

Una vera e propria gogna mediatica investe ora un’altra campana, Giovanna Tavani, dirigente di un plesso scolastico di Ercolano. Durante i festeggiamenti per la vittoria del No, Tavani viene immortalata consensualmente in un filmato che la ritrae mentre brinda e fa il gesto dell’ombrello, che fa il giro del web e in pochi giorni crea il “caso”, con tanto di sondaggio tra colpevolisti e innocentisti: la preside deve essere punita? Come al solito, non abbiamo il dono della misura.

È vero, Tavani poteva fare a meno di manifestare il proprio entusiasmo in una maniera non propriamente sobrio. Ma è anche vero che il momento ha nulla a che fare con la sua sua funzione istituzionale.

E oggi, per una indubitabile leggerezza, sta trascorrendo giorni di mortificazione e isolamento, dopo aver chiesto pubblicamente scusa: “Sì, al comitato eravamo tutti carichi e felici dopo l’esito di uno scrutinio andato oltre le aspettative – racconta ancora la dirigente – abbiamo brindato e in quel clima scherzoso è venuta fuori quella battuta. Sono rammaricata e mi scuso. Soprattutto non voglio che si confonda la mia posizione di cittadina impegnata in politica con il mio ruolo di dirigente scolastica. Sono due posizioni che ho sempre tenuto ben distinte. Da 18 anni lavoro con i bambini, gli insegnanti e i genitori in piena serenità e in sinergia continua con le forze dell’ordine e le istituzioni, e tutti conoscono la mia umanità”.

Giovanna Tavani è persona conosciuta, nella sua città: professionalità indiscussa, peraltro, visto che il II Circolo didattico Giampaglia, che dirige da anni, è stato recentemente riconosciuto dall’Unesco come uno dei migliori istituti scolastici d’Italia, per le buone pratiche che lo caratterizzano, in un territorio “difficile”, con bambini che provengono da contesti particolarmente impegnativi, quando non implicati con la malavita.

Uno dei casi in cui la scuola è presidio di democrazia nel territorio; ambiente d’elezione per creare anticorpi al messaggio devastante del fuori. Ma c’è altro: Tavani è stata protagonista di un caso, clamoroso a livello locale, di denuncia – attraverso una lettera aperta – dei ritardi della messa in sicurezza della propria scuola, caso segnalato anche da un’interrogazione parlamentare di Scotto, di Sel. Infine: Giovanna è stata una dei rari dirigenti scolastici – che ai tempi dell’approvazione della “Buona scuola” ha testimoniato il proprio dissenso su quella legge imposta dal governo a dispetto della mobilitazione più partecipata e protratta nel tempo di tutti i suoi 1000 giorni.

Giovanna poteva evitare, lo abbiamo detto. Ma se, prima ancora dei suoi successi professionali, della stima goduta, dell’ottima reputazione della scuola, addirittura dei riconoscimenti pubblici, i giornali riportano e amplificano questo episodio – creando pericolosa ambiguità tra le azioni svolte nell’esercizio della sua funzione e quelle nella sua vita di privata cittadina – un motivo ci deve essere. Solleticare dubbi su una delegittimazione di Tavani come dirigente scolastica per quel gesto è certo operazione manipolatoria e indicativa dei tempi avvelenati in cui viviamo.

Fare un gesto inelegante la sera di un’importante vittoria elettorale adombra l’indegnità di una persona a dirigere una scuola; squadernare e legittimare una precisa e articolata teoria sul voto di scambio e sulle clientele da parte del governatore di una importantissima Regione italiana viene invece considerato un’espressione folkloristica o poco più. Le cose non tornano.

L’impressione è che il clamore intorno a un gesto poco felice adombri la rivincita rispetto a tante impreviste alzate di testa da parte di chi avrebbe – viceversa – avuto vantaggio dal mantenere una posizione esecutiva ed acquiescente; e il pretesto, ancora, per cercare di ridurre al silenzio una voce fuori dal coro. Cosa di cui, invece, oggi più che mai c’è grande necessità.

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