Accoglienza. Dicono che a Natale siamo tutti più buoni. Siamo proprio sicuri? Viene da chiederselo, anche se sempre più “retoricamente”, quando l’inverno sopraggiunge di nuovo fischiettando vento con il freddo sotto il braccio, la pubblicità ci indica qualsiasi offerta per incitarci ad acquisti dissennati mentre in giro, per le città e non solo, aumentano le condizioni di nuova e vecchia povertà. Stuoli di sacchi a pelo ai bordi di grandi stazioni o parchi double-face, di giorno per bambini e pensionati di notte per senzatetto, sono solo un po’ di visibile. Il più di noi accaldati dai termosifoni non ha idea della gente insospettabile che si aggiunge alle file per un pasto caldo o una spesa agli empori per chi è in difficoltà.

Cosa succederebbe se una nuova legge obbligasse i proprietari di grandi appartamenti a ospitare un numero di senza fissa dimora in proporzione ai metri quadri e ai già residenti dell’immobile? È quello che accade nella Parigi borghese immaginata da Alexandra Leclére, regista e sceneggiatrice di Benvenuti… ma non troppo, titolo originale La grand partage.

L’inverno porta un’eccezionale ondata di gelo e l’allarme freddo costringe il governo al varo di questa misura estrema. L’antefatto legislativo getta nel panico un elegante condominio del centro. Diverse fazioni: la famiglia d’intellettuali di sinistra sempre presente a picchetti e manifestazioni ma generosa solo a parole, quella puramente borghese, impellicciata e invidiosa dell’ipocrisia dei vicini arricchiti, la portinaia profittatrice con occhi furbi e calcolatrice alla mano e in ultimo l’accoglienza incondizionata di un vecchio dandy solitario in cerca di compagnia. Ma anche gli ospiti si faranno sentire: una barbona col passato da cuoca, madri africane con i loro bimbi e qualche giovane non troppo affidabile.

“Si deve essere in grado di guardare la vita come la gente: da punti di vista diversi. Vorrei che Benvenuti… ma non troppo fosse percepito come l’ho concepito io: una commedia pura che fa riflettere”. Ha dichiarato la regista intorno al mood del suo film. Da sette anni provava a farlo produrre, ma è venuto alla luce soltanto quest’anno. “Avevo scritto un primo soggetto di una decina di pagine, che ho sottoposto a un produttore ricevendo come risposta: ‘Lascia perdere, nessuno ci crederà mai, è impossibile che sia prodotta una cosa del genere’, quindi ho abbandonato questo progetto per qualche anno, il tempo che ho usato per realizzare un altro film, Maman, convincendomi del fatto che non era la pellicola per me”. Per fortuna si sbagliò.

Nelle sale italiane ad aprile scorso e adesso in “cassetta” sempre per Officine Ubu, ha fatto sorridere i boxoffice europei con 7,9 milioni di euro, dei quali 181 mila incassati in Italia anche con una discreta media sala (dai 1800 nel primo weekend agli 800 finali per 59 sale). Non male per un film senza turpiloqui, scollacciature lucidate, privo di comicità raffazzonata quanto forzata o sorridenti giganti della distribuzione cinematografica nostrana alle spalle. Senza contare che parte degli incassi è stata devoluta alla Croce Rossa Italiana per il progetto Strade della Solidarietà, una campagna a favore di chi vive senza un tetto sulla testa.

La commedia graffia con garbata ferocia i ceti benestanti facendo riflettere anche i medi, si ride a denti stretti per le ripicche tra vicini e gli egoismi che vengono a galla attraverso ipocrisie e situazioni imbarazzanti dove i senzatetto riusciranno a ottenere anche qualche rivincita. Si mettono alla berlina buonismi su accoglienza e immigrazione raccontando la convivenza forzata con acume e leggerezza.

Il piccolo affresco della Leclére riesce a presentarsi nel modo sperato dall’autrice: come allegoria sociale. Gioca a mettere in difficoltà i suoi personaggi in modo cerebrale ponendo in primissimo piano gli ottimi attori – dalla portiera Josiane Balasko a Karin Viard, la generosa borghese con riserva, passando per Valérie Bonneton, intellettuale reticente, e il marito scrittore Michel Vuillermoz sono loro la pancia – mentre i dialoghi brillanti danno ritmo a un buon congegno a orologeria.

Nella versione homevideo il contenuto speciale annovera solo una breve carrellata di romani a passeggio per la capitale che dicono la loro sull’accoglienza supponendo l’ospitalità del film nella realtà. Fa riflettere anche questo, ridere un po’ meno.

Articolo Precedente

Il Mago di Oz, ritorna in sala restaurata la leggenda del fantasy da cui ogni bizzarria favolistica hollywoodiana iniziò

next
Articolo Successivo

Efa 2016, Fuocoammare miglior documentario. Gianfranco Rosi: “Con barriere non c’è speranza”

next