di Daniele Zinni per Crampi Sportivi

«Non sapevamo chi fosse davvero il presidente: l’abbiamo scoperto dai giornali, come tutti. Una sera poi è sceso al campo alla fine dell’allenamento. Arriva questa macchina nera lucida, esce lui in maglietta e pantaloncini. Si lascia la scorta dietro, va a stringere la mano al mister e si mette a correre con noi a girocampo. Ci ha fatto duemila domande: il mister, il paesello, se avevamo figli, se eravamo tutti sanriportesi. I tipi della scorta stavano in piedi a bordocampo che ci fissavano. Ma la parte, insomma, imbarazzante, è venuta dopo».

Meno di un mese fa, i tifosi della Libertas di San Riporto (FI), e con loro tutti gli appassionati di calcio in Italia, hanno scoperto che Matteo Renzi è di fatto il patròn dei grigioverdi – lo era diventato a luglio senza che se ne sapesse nulla. Matteo Renzi, il presidente del Consiglio. Assurdo. Il foglio d’informazione iperlocale L’Ago della Bilancia ha pubblicato la notizia al mattino, e nelle prime ore del pomeriggio già tutti i siti nazionali ne erano tappezzati, senza contare i social; il giorno dopo, edizione speciale della newsletter di palazzo Chigi per confermare. Matteo Renzi, il presidente della Libertas San Riporto. La Libertas.

Una società che in venti e rotti anni di Seconda repubblica non ha rinunciato allo scudo crociato come simbolo, e ora attraversa una rivoluzione frenetica ma non caotica. Ci sono più cose su questa collina al limite della Maremma di quante ne contenga il nostro giornalismo, che questa storia l’ha impiattata come mera curiosità o come pretesto per le proprie battaglie politiche.

«Ha cominciato a dirci che dovevamo giocare bene e dovevamo vincere, che non avevamo niente in meno dei giocatori in Serie A, che dovevamo crederci. Ma a cosa dobbiamo credere, che quest’anno è già tanto se abbiamo un portiere? Io poi quella volta avevo fretta perché dovevo scappare in pizzeria ad aiutare mio zio, e questa cosa secondo me in Serie A non succede. Non la smetteva più di parlare, Renzi, gli volevo dire di stare un po’ buonino, che noi s’era stanchi, ma ti pare che interrompo il presidente? Che è anche bravo a parlare, lui. Solo, non sopporto tutto il «fatemi dire una cosa molto semplice», «fatemi fare i migliori auguri a», «permettete che mi congratuli per»… Insomma, dì un po’ quel che ti pare e passa avanti, no? Alla fine ho fatto tardi, da mio zio; quando gli ho detto che ero stato a sentir Renzi s’è incazzato il triplo.

La domenica giocavamo a Monte Bollito. È venuto a vederci. Non mio zio, Renzi: sugli spalti c’erano più agenti di polizia che c’erano tifosi. S’è perso 4 a 1, e insomma. Poi però a fine partita quello scende, si mette a discutere con l’arbitro, che poi era un ragazzo di 18 anni. Ora, non ci discute il mister, con l’arbitro: perché ti devi mettere in mezzo tu? Non abbiamo avuto il coraggio di starlo a sentire, siamo andati in doccia. Ce lo ritroviamo all’uscita: ci dice che all’arbitro dobbiamo stargli addosso, che lo si deve pressare come si pressano i giocatori avversari, perché lo fa l’Atletico Madrid, dice. Perché a gennaio arriva Baggio, arriva Pirlo. Boh, io son contento se viene Baggio e mangia in pizzeria da mio zio, però insomma, presidente, non mi trattare come un bambino, eh?”

Nelle prime sei partite, la Libertas ha collezionato due punti. Renzi ha promesso che avrebbe preso Van Gaal; che avrebbe puntato tutto sui giovani, sulle donne, sul rimbalzo della sterlina; poi si è stancato e i riflettori si sono spostati altrove. A oggi, dei risultati deludenti della Libertas si occupano solo – con foga degna di miglior causa – Il Giornale e Il Fatto Quotidiano. “Deludenti”, del resto, è un eufemismo, e lo sarebbe anche “pietosi”. Anche “grotteschi”. Anche “ho visto cetrioli con più senso del movimento, e occidentali catturati dall’Isis con più speranze di salvezza”.

«Noialtri si è sempre perso abbastanza, si è sempre vivacchiato tra la prima, la seconda categoria. Però non siamo mai stati tristi. I tifosi per un periodo ci cantavano “Libertas, fa schifo e un c’è male”, si figuri, ma c’era comunque dell’affetto. Quest’anno invece si stava male, al campetto non veniva più nessuno, tra di noi si litigava. Il giorno che abbiamo messo giù il comunicato è stata veramente l’ultima occasione prima che andasse tutto a scatafascio.

E che giochiamo a fare, per star male? Che cosa ci sto a fare in campo tutti i fine settimana? Mi’ moglie è più contenta se sto a casa. Lo dico senza offesa per il presidente Renzi, ci ha comprato la palestra nuova, ci ha mandato messaggi tutte le settimane, insomma, si dice che il campo lo hanno sistemato perché lo ha chiesto lui… però un problema c’era. Potevamo vincere, potevamo perdere, per noi era uguale. Vincere, per giunta, non si vinceva mai. Avevamo la sensazione di giocare giusto perché ormai avevamo preso l’impegno di giocare.

Quando è arrivato Renzi ci aspettavamo di cominciare a vincere, e invece non si è vinto mai. Ma doveva essere una cosa automatica, praticamente: è il presidente del Consiglio, mica il parroco! Se non ci fa vincere, Renzi che ci si è comprati a fare? E allora facciamo un po’ come diciamo noi. All’allenamento, se non sentiamo di volerci andare, non ci andiamo. Anche alla partita, la domenica. Perché il tempo deve essere il nostro. A mio zio gli ho detto che le pizze ai tavoli le può servire lui, e lui adesso non capisce, non mi vuole più parlare, ma vedrà che poi capisce.

La settimana scorsa, quando si è licenziato il miste’, il presidente è tornato da noi, è venuto a vederci giocare a San Giuretto. Alla fine ci ha fatto un discorso, ci ha detto che ce la dobbiamo metter tutta, che a gennaio viene Pirlo, gli fa fare l’allenatore in campo. Che però ce la dobbiamo metter tutta, noi. Io gli volevo dire: “E tu? Quand’è che ce la metti tutta tu?” Perché non mi può dire che ce l’ha già messa, se non abbiamo ancora vinto una partita ma manco per sbaglio. Poi ci voleva far parlare con Marchionne, quello della Fiat: lo chiama, riattacca, dice No, in America è notte. Poi ci ripensa, in America non è notte, allora richiama: squilla, squilla, non risponde nessuno».

La versione integrale di questo racconto di fantasia lo trovate su Crampi Sportivi

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