Può un dipendente pubblico percorrere il tragitto casa-lavoro, o viceversa, a bordo di un’auto di servizio? Per legge è vietato, soprattutto se ciò avviene sistematicamente e da molto tempo. È per questo che il procuratore della Repubblica di Belluno, Francesco Saverio Pavone, ha contestato il reato di peculato a una trentina di dipendenti della Polizia Provinciale. Su quale presupposto? Sul fatto che impiegavano una ventina di mezzi del parco-auto dell’ente per gli spostamenti dal luogo di abitazione. Il reato fa riferimento all’utilizzo del carburante pagato con soldi pubblici e all’usura degli automezzi per un chilometraggio di gran lunga superiore a quello di servizio.

Un malcostume che secondo i vertici della Provincia di Belluno sarebbe giustificato da un regolamento di servizio. Ma il procuratore Pavone non ammette deroghe: “Per giurisprudenza costante nessun provvedimento amministrativo può consentire fatti che sono reati. L’argomentazione secondo cui alla base c’erano esigenze organizzative non ha alcun rilievo in particolare nei casi di tragitti di pochi chilometri”. Nella casistica rilevata troviamo dipendenti pubblici che percorrono una distanza con il comando che arriva a 50 chilometri, mentre altri usano l’auto di servizio per spostamenti minimi, uno, due o tre chilometri. Il procuratore è stato chiaro: “Sarebbe come se i carabinieri tornassero a casa sull’auto di servizio, ogni giorno”.

Di questo andazzo l’inchiesta ha messo a nudo anche qualche altro dettaglio imbarazzante. Ad esempio il fatto che l’attestazione di aver preso servizio non veniva fatta timbrando il cartellino, ma inviando un sms. L’inchiesta ha preso avvio da un esposto anonimo ed è focalizzata su un periodo di un anno, dal marzo 2014 al marzo 2015. Ad agosto gli indagati sono stati convocati in questura per essere interrogati dagli agenti della Digos, che avevano effettuato controlli avvalendosi anche di gps sulle auto. In un caso, un dipendente avrebbe inviato un sms che attestava l’entrata in servizio, mentre la sua auto era parcheggiata in casa. Per lui è così scattata anche l’ipotesi di truffa. Tutto è pronto per la richiesta di rinvio a giudizio.

Ma la Provincia manifesta un evidente dissenso rispetto alla linea della Procura. “Non ci costituiremo parte civile in un eventuale processo” ha detto la presidente Daniela Larese Filon. “Le guardie provinciali hanno agito sempre pensando di essere corrette. C’è un atto approvato dagli amministratori circa 20 anni fa che – spiega intervistata da Il Gazzettino – li autorizzava per esigenze organizzative a andare e venire sull’auto di servizio. Non è che noi facciamo venire le guardie che abitano a Falcade fino a Belluno a prendersi la macchina per poi tornare a Falcade. Per snellire il servizio era stato pensato questo sistema”.

Dall’inizio del 2016 i dipendenti hanno cominciato a usare l’auto propria, a seguito dell’avvio dell’inchiesta. I veicoli di servizio vengono lasciati in luoghi appositi, individuati nel territorio, dove ora le guardie provinciali si recano (con l’auto personale) per cominciare il proprio lavoro. “Nessuno si era mai posto il problema in precedenza. – conclude la presidente Larese Filon – A fare il regolamento non sono state le guardie, ma l’amministrazione dell’epoca”. Dal palazzo di giustizia arriva, al riguardo, una conferma della linea dura. La Procura informerà la Corte dei Conti . “Anche gli amministratori – spiega il procuratore Pavone – potrebbero essere chiamati a un’azione di responsabilità”. Colpiscono soprattutto i fatti più eclatanti, ovvero che qualche dipendente percorresse fino a 100 chilometri al giorno su un’auto di servizio. Il risparmio, basti pensare al solo costo del carburante, era notevole. Tra gli indagati c’è anche Franco De Bon, oggi in pensione, attuale sindaco di San Vito di Cadore

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