Nella mia vita ho provato diversi sentimenti di fronte al mondo vegetale. Ad esempio, triste di fronte a un abete capitozzato, oppure stupefatto di fronte alla vitalità di una ceppaia, oppure ancora ammirato di fronte a una pianta che si fa largo nell’asfalto. Ma fino a oggi i miei sentimenti non erano supportati dalla conoscenza. Ora invece questo avviene grazie a un libro magnifico, che posso ben dire mi abbia cambiato la vita: parola grossa, ma ci sta.

Il libro è Verde brillante, di Stefano Mancuso e Alessandra Viola. Un libro in cui gli autori, con una capacità divulgativa non comune, si addentrano nel mondo delle piante allo scopo di dimostrarci che esse sono intelligenti. Sì, proprio così: intelligenti. Di un’intelligenza diversa rispetto a quella umana, ovviamente, ma pur sempre intelligenza è, e di ciò si rese conto anche Charles Darwin, che proprio alle piante dedicò gran arte dei suoi studi e che nell’apparato radicale delle piante individuò appunto una sorta di intelligenza.

Ma ancor prima di affermare che le piante sono intelligenti, il libro ci dimostra che esse sono dotate di sensi, degli stessi sensi di cui è dotato l’uomo, certo, ma a cui si aggiungono almeno altri quindici sensi. E inoltre le piante comunicano, al loro interno e fra individui della stessa specie, trasmettendo informazioni vitali.

Sono infinite le conclusioni che si possono trarre da questo libro, che poi non è altro che la summa degli studi del professor Stefano Mancuso, che dirige l’apposito Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Linv) dell’Università di Firenze, e di tanti altri studiosi prima di lui, Darwin, come detto, incluso.

Una volta che ci si rende conto del fatto che una pianta è del tutto simile a qualsiasi altro essere senziente, ciò non potrà che cambiare la nostra percezione del mondo vegetale. E forse esagero o forse no, dovremo rivedere anche la nostra visione dell’alimentazione umana, visto che una pianta soffre se viene sradicata, anche se essa non ha gli occhi terrorizzati del vitello condotto al macello. Così come ci si dovrà rendere conto della violenza che si produce su una pianta che, anche se deve vivere nella terra, la costringiamo invece a vivere in una cultura idroponica.

Ma il libro serve anche a ripensare le forme di vita intelligenti, noi che siamo abituati a ritenere che per essere intelligenti occorra avere un cervello e pure fatto in un certo modo. E magari la smetteremo di pensare agli alieni con delle grosse teste solo perché sarebbero più intelligenti di noi.

Last but not least, il libro è funzionale, a mio modo di vedere, a renderci più umili. A relativizzare ancor di più l’importanza dell’uomo sulla Terra, dove – tra l’altro – uomo ed animali in totale rappresentano un misero 0,3% della biomassa, mentre il resto è appannaggio dei vegetali, da cui la nostra vita dipende. E serve a supportare un detto che ho sempre sostenuto: occorre conoscere per amare, ed amare per proteggere.

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