È stato oggetto di ricorsi in sede giudiziaria ed è stato uno dei temi più discussi della campagna referendaria. “È una truffa agli elettori”. “No, è semplicemente il titolo della legge”. Alla fine, a mettere una parola definitiva sul fatto che il quesito del 4 dicembre non è neutro, ci ha pensato direttamente il premier Matteo Renzi. A due giorni dal Referendum, intervistato dal Corriere della Sera, Renzi ha detto: “Quando i sondaggi erano ancora pubblicabili ve ne erano alcuni che dimostravano come la semplice lettura del quesito – che può avvenire anche in cabina – produceva un travaso di almeno tre punti percentuali dal No al Sì. Parliamo di quello, vi prego, non cambiamo argomento”. Ovvero, a dispetto dell’apparente disinteresse per la questione, il premier conferma che ci aveva pensato eccome. E molto prima degli altri. Il titolo della legge, per legge, diventa quello del quesito. E nella fase di discussione e di rimpalli tra commissione, Camera e Senato, tra le tante osservazioni di merito, non si era imposto il tema del titolo della legge.

A dire il vero, i sondaggi non hanno mai evidenziato il dato della tendenza alla decisione last minute e sulla base della lettura del quesito. Il premier forse ricorda però le analisi circolate, come quella, ad esempio, de Ilfattoquotidiano.it, che il 7 ottobre, in uno dei periodi in cui infuriava lo scontro proprio sul testo del quesito, ha intervistato i sondaggisti. Risultato? Dall’analisi di Antonio Noto (Ipr) emergeva chiaramente che quella dicitura sulla scheda può sortire un effetto sui tanti indecisi e in una percentuale che oscilla tra il 5 e il 20%. “Che può fare effettivamente la differenza”, affermava anche Nicola Piepoli, “perché uno o due milioni di voti possono decidere l’esito del referendum”. Il capo di Ipr marketing argomentava così: direi che un quesito non neutro può avere sicuramente un effetto importante sul 5% degli elettori. Perché proprio il cinque? Perché l’esperienza sui sondaggi politico-elettorali ci ha dimostrato che questa è la consistenza dell’elettorato che decide cosa votare solo all’ultimo, una volta che è entrato in cabina, sulla base di quel che vede e legge: i simboli, i nomi. E’ chiaro che la formulazione stessa di quesiti così posti ha il suo peso: perché uno dovrebbe dire di “no”? Leggendo acriticamente quel tipo di dicitura è invece chiaro perché uno dovrebbe votare sì”.

E dopo l’intervista al Corriere, Renzi è tornato sul quesito nel suo appuntamento su facebook #matteorisponde. Come a voler attirare l’attenzione degli elettori ancora indecisi proprio su quello. “Mi sarebbe piaciuto avere più schede elettorali”, il famoso spacchettamento, “e mi avrebbe fatto comodo sinceramente. Sarebbe stato un Sì o un No più consapevole da parte dei cittadini, ma purtroppo non l’abbiamo potuto fare perché la legge attuale non lo consente.  Nel ’74 si è votato sul divorzio non su Pannella, allo stesso modo questo referendum non è su di me né sul governo ma sul futuro dei vostri figli”.

A dimostrazione che il governo punta proprio sulla decisione degli elettori all’ultimo momento, in cabina elettorale, c’è anche l’uscita di Maria Elena Boschi, durante un burrascoso incontro con i simpatizzanti del Pd a Zurigo il 14 novembre scorso. La ministra invitò gli elettori scettici a “leggere il quesito”, aggiungendo: “Il quesito è molto chiaro e semplice tanto che, tante persone che si riempiono la bocca chiamandosi cittadini e non onorevoli, hanno fatto polemica perché era troppo chiaro”.

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