Influenzano l’opinione pubblica e il dibattito politico, hanno effetti pesanti su salute, sicurezza e politica. Le bufale proliferano in rete, ma non solo. Basta pensare alle notizie false su temi come vaccini e immigrazione. Difendersi non è semplice, come hanno spiegato docenti e giornalisti dalla Sala della Lupa di Montecitorio, dove è stato organizzato il convegno «Non è vero, ma ci credo. Vita, morte e miracoli di una notizia falsa». Anche perché, secondo studi recenti condotti da un gruppo di ricercatori guidati da Walter Quattrociocchi, del Laboratorio di Computational Social Science dell’Imt di Lucca, gli utenti non cambiano idea nemmeno di fronte a verità accertate: “Il debunking (la pratica di “smontare” le bufale, ndr) fornisce dei punti di riferimento a chi è interessato, ma serve poi stimolare quell’interesse. Di solito, un persona posta di fronte a un’idea diversa dalla sua tende ad arroccarsi sulla propria opinione”, spiega al fattoquotidiano.it lo stesso Quattrociocchi.

C’è poi il nodo delle responsabilità di Facebook, Google e dei social media: “Non sono compagnie telefoniche, hanno una responsabilità morale e sociale. Anche se ovviamente non è soltanto colpa loro se si diffondono le bufale. Molto dipende dalle relazioni sociali che vengono costruite e da quanto viene condiviso dalle stesse persone”, rivendica Giovanni Boccia Artieri, docente all’Università di Urbino. Parole condivise anche da Paolo Attivissimo, noto giornalista e debunker: “Rispetto al passato ci sono stati passi avanti, forze come Facebook e Twitter hanno cominciato a discutere del tema. Di certo non sono dei vettori, ma veri editori, anche se magari non vogliono ammetterlo”.

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