Nell’ecatombe di talenti che ha già consegnato agli annali il 2016 come annus horribilis per l’arte, non vorremmo venisse seppellita nell’oblìo, o sotto il clamore suscitato dalla scomparsa di celebrità internazionali, la figura straordinaria di Paolo Poli.

Il poliedrico e coltissimo attore fiorentino ha salutato il suo pubblico l’ultima volta il 25 marzo scorso, nella Capitale dove risiedeva da anni, lasciando un testamento artistico scandalosamente contraddittorio, fieramente fuori dagli schemi, in perfetta linea con la sua carriera sempre giocata sulla raffinata provocazione.

Negli ultimi mesi, infatti, sono usciti per Emons due audiolibri, che riassumono, nella loro paradossale specularità, tutto lo spettro delle variazioni cangianti che le eccellenti doti interpretative hanno consentito all’attore di esplorare credibilmente in più di 60 anni di carriera, tra cinema, teatro, radio e televisione. Parliamo di due titoli il cui stesso accostamento fa sorgere un sorriso impertinente, proprio nel suo stile: I Promessi Sposi e Kamasutra. 

Due letture egualmente riuscite e convincenti, in cui la maestria vocale di Poli (voce narrante indimenticata di Pinocchio, edito nel 2011 da Giunti) oscilla tra il compiacimento divertito del gigione e l’eleganza dell’esperto fine dicitore.

Nella lettura del capolavoro ottocentesco emerge anche il sapiente rigore filologico dell’attore toscano, che modula ritmicamente tempi, pause, colpi di scena, calandosi camaleonticamente nel vile Don Abbondio come nel virtuoso Fra Cristoforo, nell’innocente Lucia come nel crudele Don Rodrigo, soprattutto interpretando la solennità del respiro narrativo, lasciando però affiorare in alcuni luoghi il sottile, antiretorico, quasi nascosto umorismo di Alessandro Manzoni.

Un’interpretazione matura, in grado di restituire tutte le sfumature dell’affresco manzoniano.

Per ciò che riguarda il manuale erotico indiano (di cui in realtà solo un quinto è relativo alle famigerate posizioni sessuali, trattandosi di un più vasto trattato sulle relazioni umane), ovviamente l’attore ha terreno fertile per lasciar esplodere il suo aspetto più irresistibilmente provocatorio.

Per un attore che ha passato gran parte del suo tempo sul palco en travesti; per chi in un’Italia bigotta e gravata da anacronistici condizionamenti clerico-fascisti non aveva paura a dichiararsi omosessuale; per chi ha incarnato nella sua vita la fiera eleganza di essere diverso, questa doppia lettura assume un valore ulteriore, un messaggio di apertura mentale e intelligente anticonformismo, fedele a se stesso fino agli ultimi mesi della sua vita.

Mi sembra opportuno riportare l’illustre ritratto di Natalia Ginzburg, che per decenni ha rappresentato una sorta di biglietto da visita critico per il grande attore: “Se dovessi descrivere Paolo Poli a qualcuno che non l’avesse mai visto, direi di lui che la sua figura è quella di un giovinetto esile: ignoro la sua età, ma ho l’idea che comunque resterà sempre come un esile giovinetto; che il suo linguaggio è un puro toscano; che i suoi spettacoli sono, in genere, parodie di romanzi o di commedie dell’Ottocento, o del primo Novecento, inframmezzate da canzoni; che quando canta alza nell’aria le sue lunghe braccia snodate e le mani fini e soavi, assomigliando a una bella ragazza, o a un cigno, o a un fiore dall’altissimo stelo; che suscita ilarità con la grazia, in un tempo in cui la comicità sembra poter nascere soltanto su note stridenti e odiose, da volti e gesti scomposti e ripugnanti. Lui è comico restando se stesso, conservando i suoi tratti lindi e gentili. Non c’è tuttavia nulla di lezioso o vezzoso nella sua grazia: non c’è in lui nessuna civetteria, e nessuna timidezza, nei confronti della realtà. La sua grazia sembra rispondere a un’armonia intima, sembra sprigionarsi da un’intima e lucidissima intelligenza. Fra i suoi molteplici volti nascosti, c’è essenzialmente quello d’un soave, ben educato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli di agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza“.

Una descrizione pressoché perfetta, che sembra scritta oggi, a commento di queste ultime, meravigliosamente contraddittorie interpretazioni del compianto attore.

Articolo Precedente

Le belle contrade di Piero Camporesi, l’Italia ‘vista dalla bottega’

next
Articolo Successivo

Siria, un intellettuale in guerra

next