Ecco come vota un italiano all’estero. Un lettore del Fatto ha filmato il suo voto con uno smartphone, cosa impensabile nei seggi di casa nostra. Ma il punto è un altro e conferma tutti i timori su questa modalità nata con la legge Tremaglia e che ha visto il suo debutto nel 2003 con un referendum. Ossia la possibilità di brogli. Nelle elezioni politiche del 2006 e del 2008 sono state decine i casi documentati nelle quattro ripartizioni della circoscrizione Estero: Europa; America meridionale; America centrale e settentrionale; Asia, Africa, Oceania e Antartide.

Atteniamoci però al voto nel video, di un elettore che ha già votato in un Paese asiatico al referendum sulle riforme istituzionali del governo Renzi. La vulnerabilità della scheda s’inserisce in un sistema dalle troppe falle. Innanzitutto le buste. Quella bianca piccola può essere sostituita in varie fasi, nel consolato o nell’ambasciata del Paese in cui si vota fino all’arrivo in Italia. La scheda, infatti, una volta votata e imbustata come si vede, viene rispedita al consolato. Di qui il viaggio aereo fino al nostro Paese. In passato, appunto, i brogli hanno avuto quest’ampia casistica: plichi rubati dalle caselle postali, schede sostituite nei Paesi di provenienza, schede sostituite nei seggi italiani dove vengono scrutinate. Non c’è alcuna sicurezza sul voto. Del resto il sistema si basa su buste comuni, facilmente manipolabili: quali sono, infatti, le garanzie che le due buste, quella piccola e quella grande, arrivino a destinazione sane e salve? L’unico ostacolo, fragile, è quel tagliandino che spunta nella busta grande, con le generalità dell’elettore, aggirabilissimo. Nessun timbro o altro segno identificabile per garantire certezze.

Ecco perché da più parti del fronte del No sono stati fatti vari appelli per il voto all’estero. Quest’anno, per la prima volta, saranno più di 4 milioni gli aventi diritto e un milione e mezzo di voti sarebbero sufficienti a ribaltare il risultato. Non a caso il governo ha investito parecchio sugli italiani all’estero, dalle visite della Boschi in Sudamerica alle note lettere spedite da Renzi. Non solo. E’ stato Massimo D’Alema, una settimana fa, ad augurarsi sibillinamente che i diplomatici dei vari consolati manifestino fedeltà al Paese e non al governo

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