Nell’articolo L’uscita dall’euro? Una Lehman Brothers elevata al quadrato i sei autori (Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti, in seguito abbreviati in BGIPST) tutti in qualche modo miei amici, polemizzano con Alberto Bagnai e Jens Nordvig (in seguito ABJN) perché “cercano di minimizzare gli effetti [negativi] dell’uscita dall’euro”.

L’articolo di BGIPST è basato su argomenta ab auctoritate e curiosamente, le autorità a cui si appellano sono proprio AB e JN. L’argomento principale è questo: “Lo studio più autorevole sulla dissoluzione di unioni monetarie, condotto da Andrew Rose all’Università della California, chiarisce che nei 69 casi verificatisi nel dopoguerra non si registrano movimenti macroeconomici violenti prima, durante o dopo un’uscita. Ma […] è inutile andare a ripescare i 69 casi di Rose [perché si tratta di] paesi irrilevanti a livello globale, dall’Algeria allo Zimbabwe”.

E allora? Che differenza fa la dimensione? “Una rottura disordinata dell’euro, ad esempio a seguito dell’uscita unilaterale dell’Italia, causerebbe il congelamento del sistema finanziario internazionale e un’ondata di fallimenti a livello globale”. Dunque non bisogna temere gli effetti diretti sul paese che esce, ma solo i danni causati al resto del mondo, e la terribile onda di ritorno che ne deriverebbe? Mi permetto di dissentire. Gli autori BGIPST non sembrano avere le idee chiare sulla forza delle banche centrali (Bce, Fed, ecc.) e sul ruolo della moneta (che esse controllano) nel garantire la stabilità finanziaria.

“Proprio Jens Nordvig […] è [co-]autore di un articolo […] (premio Wolfson 2012) in cui si mettono in luce gli effetti potenzialmente disastrosi di una rottura dell’eurozona”. Insomma, ABJN non sanno quel che scrivono? Quando qualcuno mi cita per argomentarmi contro, di solito non ha capito quel che cita. Nella fattispecie Norvig (2012) parla dei rischi di una rottura disordinata dell’Euro: proprio per questo ABJN sostengono che bisogna pilotare l’uscita dell’Italia dall’euro.

BGIPST passano poi a considerare i problemi che l’uscita genererebbe direttamente in Italia (quelli che Rose non registra). E rinfacciano a Bagnai di aver suggerito in illo tempore piuttosto “l’uscita controllata della Germania” perché “se invece a uscire fossero i paesi periferici, prima di un abbandono dell’Eurozona da parte dei paesi più competitivi, si correrebbe il rischio di panico bancario e il collasso del sistema bancario nei paesi dell’Europa meridionale”. Ah be’! Sappiamo tutti che sarebbe meglio se la Germania uscisse. Ma sappiamo anche che non lo farà. Perciò stiamo cercando un’altra strada.

Sul come gestire i “rischi” dell’uscita BGIPST si limitano a esternare il solito generico scetticismo mainstream: “La ridenominazione da una moneta di riserva (l’euro)” a una moneta “non di riserva […] si può immaginare cosa ciò comporterebbe per il valore della nuova lira, per […] l’affidabilità creditizia del nostro paese […] e per i tassi di interesse sul mercato dei capitali”.

“Immaginare”? Perché non ce lo dite chiaro con una analisi ben fatta? “La situazione è un po’ più complessa” di come la presentano ABJN? Certo, ça va sans dire. Ma ignorantia rerum oeconomicārum non excusat. Secondo BGIPST l’uscita dall’euro è semplicemente troppo complessa da analizzare e gestire. Amici, non vi offendete: è una situazione troppo complessa per voi: non è detto che lo sia per tutti. D’altra parte, anche un sistema complesso pieno di effetti retroattivi, com’è quello monetario, è artificiale: dev’esserci un modo per disinnescarlo senza che esploda.

Non entro nel dibattito sull’onere della prova: ma i piani di uscita non possono essere divulgati. Il problema fondamentale dell’uscita dall’euro (direbbe Eichengreen) è che non si può annunciare in anticipo, ma va preparata per tempo e con cura: è il cosiddetto problema dell’incoerenza temporale. Come potrebbero restare segreti i preparativi in una società aperta come la nostra? Impossibile. Anche perché nelle nostre istituzioni accesi fautori dell’euro non esiterebbero a far filtrare informazioni riservate o, nei momenti più difficili della transizione, a destabilizzare il governo in carica con l’aiuto di pezzi della finanza internazionale e di governi europei “amici”. Perciò occorre anche una maggioranza parlamentare molto coesa.

La strategia di uscita unilaterale dall’euro è un mosaico dinamico di tanti pezzi cangianti, che devono tutti incastrarsi. È come quando una medicina X ha un effetto collaterale A, per curare il quale prendi la medicina Y, che ha un effetto collaterale B, ecc. Finché non chiudi il cerchio, la situazione resta instabile e la strategia non c’è. Uscire dall’euro è un problema difficilissimo. E tuttavia nel 2013 ho presentato, riservatamente, le grandi linee di una strategia d’uscita a persone qualificate; che l’han giudicata una limpida soluzione al problema dell’incoerenza temporale. Ma ecco il punto: anche così la strategia, non si può divulgare (gli economisti interpellati concordano). Perciò non può essere immessa e valorizzata nel processo politico, e forse neppure implementata, se non in particolarissime circostanze. Amen.

Versione estesa dell’articolo pubblicato su il Fatto Quotidiano del 9 novembre 2016

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