“Basta raccontare il Sud come una realtà piena di sfighe, bisogna rovesciare la narrazione, la rassegnazione e la lamentazione non aiutano. I soldi ci sono, siamo pronti a mettere tutte quello che serve se c’è una volontà della classe dirigente del Sud di cambiare partendo da se stessa”.

Nelle parole del premier, pronunciate all’Assemblea sul Mezzogiorno, ci sono elementi importanti: un’esortazione a rovesciare la narrazione sul Sud, un’affermazione sulla disponibilità di fondi da impiegare e, infine, un periodo ipotetico (dite voi di che tipo) sulla precondizione della disponibilità della classe dirigente meridionale a cambiare se stessa.

Quello che colpisce è che giunga un invito a cambiare, rovesciandola, la “narrazione” dei fatti medesimi. Come se il modo in cui si raccontano le cose avesse taumaturgicamente presa sulla realtà, più di investimenti e politiche serie e durature. Come se un fatto possa dirsi in questo o in quel modo, inducendo la sostanza – o la forma? – a cambiare. Un ponte ferroviario crollato anni addietro che non viene riparato, a titolo di esempio, è un fatto di per sé da sfigati o un bravo giornalista saprebbe trasformarlo in un efficace invito alla manutenzione straordinaria? I treni che sono costretti ad andare al massimo a 50 km/h per mancanza di sistemi di controllo marcia treno o sversano liquami sui binari e vengono sequestrati dai Carabinieri del Noe, come si possono raccontare?

Intanto, le grandi nazioni (Giappone, Cina e Usa) lavorano al treno a levitazione magnetica “maglev”, con grandi investimenti nel settore di ricerca e sviluppo, come da narrazione della Cnn. Facile e senza attriti, una simile narrazione, proprio come il treno.

Sono piene le librerie, i giornali e i siti di informazione, di testi che raccontano il Sud vincente, dei pochi o tanti ragazzi che restano, di quelli che vanno fuori e fanno benissimo, di quelli che ritornano, di quelli che, alla fine della bella storia, ce la fanno. Ma sempre, e comunque, “nonostante tutto”. In ogni narrazione, torna quella immancabile coppia di parole, che fa male al cuore di chi ama il Sud. E l’Italia. Per cambiare la narrazione, bisogna cambiare la realtà, a meno che non si voglia fare propaganda. Avere o non avere opportunità, per un giovane, conta assai più del personale ottimismo.

La realtà è quella che emerge dalle pubblicazioni serie, senza retorica, fondate su rilevazioni statistiche e competenze. Come La dinamica economica del Mezzogiorno, a cura di Svimez, edita da Il Mulino.

Chi avesse voglia di leggerla capirà moltissimo su quel che è accaduto al Sud, dal dopoguerra fino alla realtà che è sotto i nostri occhi. Scoprirà che l’intervento straordinario nel Mezzogiorno ha funzionato fino a quando la progettualità è stata di ampio respiro e, soprattutto, fino alla comparsa delle regioni a statuto ordinario, che hanno smontato l’efficacia dell’intervento straordinario in mille localismi inefficaci.

Scoprirà che l’intervento straordinario non ha mai superato l’1% del Pil nazionale raggiungendo risultati importanti negli anni Sessanta. Scoprirà che senza industria le performance del Sud saranno sempre insufficienti, in valore assoluto. Scoprirà che, negli ultimi venti anni, al Sud si è investito sempre meno, soprattutto nelle voci industria, infrastrutture e università. E che i giovani, e non solo loro, vanno via, dando luogo a un esodo biblico.

Assai più preoccupante dell’arrivo di qualche immigrato in un paesino di provincia. In un simile contesto, gli errori di una parte della classe dirigente meridionale non possono essere assunti come causa efficiente unica dello status quo, né tantomeno giustificano generalizzazioni e tagli draconiani. Per concludere, può giovare, in tal senso, la lettura del bell’articolo di Gugliemo Forges Davanzati.

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