Nonostante l’aumento di navi impegnate nella ricerca e soccorso nel Mediterraneo, gli equipaggi di Moas hanno dovuto far fronte ad operazioni di salvataggio molto più complesse e rischiose durante il corso dell’estate 2016. Secondo gli ultimi dati Iom, sono quasi 4300 le persone morte o disperse quest’anno in mare, un numero che supera di gran lunga i record degli anni precedenti. Eppure, il numero totale di persone che nel 2016 hanno tentato di attraversare il Mediterraneo è lievemente diminuito rispetto agli anni scorsi; sebbene i numeri relativi alla rotta del Mediterraneo Centrale – che dalla Libia all’Italia attraversa il Canale di Sicilia – siano rimasti inalterati.

Gli equipaggi di professionisti di soccorso a bordo delle due navi di Moas – Phoenix e Responder – in più occassioni hanno dovuto confrontarsi con operazioni di salvataggio particolarmente pericolose sia per le persone migranti che per i soccorritori stessi. Ciò è principalmente dovuto a un cambio di strategie adottate dai trafficanti nel corso di quest’anno.

Se, negli anni precedenti, il flusso delle persone era distribuito nel tempo, con circa 2 o 3 barconi al giorno, quest’anno i nostri equipaggi hanno assistito a vere e proprie partenze di massa, con decine di imbarcazioni in avaria da soccorrere in un solo giorno. La rete dei trafficanti sembra essersi industrializzata. L’aumento di competizione tra i diversi attori implicati nel traffico ha determinato una vera e propria corsa all’approvvigionamento di barche di legno, gommoni, motori, serbatoi di carburante, etc. in quantità sufficienti a soddisfare la domanda continua. Tutto questo si riflette nell’aumento del numero di persone che vengono stipate in condizioni sempre più disumane in gommoni ancora più inadatti ad attraversare il mare.

“Ingenti carichi di persone, combinati ad una minor qualità dei natanti, costituiscono la formula per una tragedia”, ha affermato il Capo delle Operazioni di Moas, Ian Ruggier. Non c’è dubbio che le imbarcazioni usate dai trafficanti siano costruite per resistere solo poche miglia, e arrivare appena più in là delle acque territoriali Libiche”.

Date le circostanze, quindi, il numero di morti effettive potrebbe essere di gran lungamaggiore di quelle registrate. È estremamente difficile per i soccorritori individuare e soccorrere tutti i barconi che vengono mandati in un’unica ondata. Inoltre, in diverse occasioni i nostri equipaggi hanno condotto dei soccorsi notturni di persone che si trovavano in mare dalla mattina presto, ed erano state individuate solo la sera. Ciò lascia intendere che molte altre barche possano passare totalmente inosservate.

Oltre 30mila persone sono state salvate dall’inizio della missione umanitaria di Moas, lanciata nel 2014. Di queste, ben 19mila sono state soccorse e assistite solo dallo scorso giugno ad oggi.

“I viaggi della morte nel Mediterraneo non verranno certo fermati alzando muri o barricate o imponendo più controlli alle frontiere. È chiaro ormai che la militarizzazione delle frontiere non è una soluzione. Le persone troveranno sempre un modo di arrivare in Europa. C’è una necessità urgente di gestire il fenomeno, invece di evitarlo nascosti dietro a un muro di filo spinato. I leader Europei devono impegnarsi ed esporsi in prima persona” ha detto il direttore di Moas, Pete Sweetnam.

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