Tre visite in tre mesi, quattro da quando è iniziata la campagna elettorale, sette città visitate e un totale di diciassette eventi tra tappe politiche e istituzionali. Sono i numeri che legano il premier Matteo Renzi alla Sicilia. A venti giorni dal referendum costituzionale, infatti, l’isola è tornata ad essere decisiva. “Una riserva di voti fondamentale come la Florida alle presidenziali degli Stati Uniti”, l’aveva definita Pierluigi Bersani alla vigilia delle politiche del 2013. Un paragone rilanciato dall’allora vicesegretario del Pd Enrico Letta, che nel novero delle “Floride d’Italia” aveva aggiunto la Campania. Persino Renzi d’altronde aveva avuto modo di rendersene conto: nel 2012 aveva perso le primarie del centrosinistra anche a causa dei voti raccolti dal nemico Bersani nel Mezzogiorno. E adesso che il premier è impegnato in un tour de force senza esclusione di colpi per far prevalere le ragioni del il prossimo 4 dicembre, ecco che nella battaglia referendaria la Sicilia diventa fondamentale. Seconda forse soltanto agli studi televisivi.

Il giro dell’isola per far vincere il Sì – Già alla vigilia della campagna elettorale, il 30 aprile scorso, Renzi si era materializzato a Palermo e Catania, annunciando di aver scelto la Sicilia come sede del prossimo G7, e celebrando in pompa magna la riapertura della careggiata del viadotto Himera, quella che però non era crollata nell’aprile del 2015. Quest’estate, poi, la Festa nazionale dell’Unità era andata in scena per la prima volta a Catania, la città del renzianissimo Enzo Bianco. L’11 settembre il presidente del Consiglio era dunque arrivato sotto l’Etna per chiudere la kermesse dei democratici, mentre il giorno prima si era palesato nella Valle dei Templi di Agrigento, dove tra selfie e foto ricordo aveva firmato il Patto per il Sud, 5 miliardi e 750 milioni di euro da spendere nei prossimi 5 anni. A ottobre poi il turno di Palermo e Trapani, dove in un weekend aveva sommato impegni istituzionali, come l’inaugurazione dell’anno accademico, e politici: sono da archiviare in questa seconda veste i selfie con gli ex fedelissimi di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, prontamente arruolati dal fido Davide Faraone sotto le bandiere della rottamazione.

Dal ponte alle infrastrutture: le promesse sempreverdi per il referendum – E adesso che il conto alla rovescia in vista del referendum comincia a farsi sempre più incalzante, Renzi torna in Sicilia per 24 ore frenetiche: tra martedì e mercoledì il segretario del Pd coprirà ben nove tappe. Da Catania a Siracusa, da Ragusa a Caltanissetta, da Palermo a Cinisi, fino al cantiere sulla statale di Agrigento: qui, smessi i panni di costituzionalista, Renzi indosserà quelli di presidente-operaio firmando il contratto con Anas e Regione per 500 milioni di euro da spendere in infrastrutture. Ma il ventaglio delle offerte programmatiche del governo per la Sicilia è vario: al teatro Politeama di Palermo, per esempio, il premier parlerà di agricoltura, alla Fincantieri presenterà il nuovo piano per rilanciare l’occupazione, mentre qualche settimana fa aveva rispolverato il progetto del Ponte sullo Stretto. Costanti sono poi i riferimenti all’antimafia, con Renzi che a ottobre aveva assicurato di pensare continuamente all’arresto di Matteo Messina Denaro. Insomma i temi toccati dal premier sui palchi di Sicilia sono di assoluta attualità, “promesse sempreverdi” le ha definite qualcuno, che diventano ancora più verdi a venti giorni dalla consultazione popolare.

La campagna per il Sì: impresentabili e acchiappavoti – Del resto sono mesi che in Sicilia i renziani si adoperano in tutti i modi per le ragioni del Sì. Da quest’estate Davide Faraone, commissario ombra di una campagna elettorale senza gerarchie, colleziona pranzi, cene, buffet, dibattiti e incontri privati per provare ad allargare in tutti i modi il fronte del Sì. L’esito finale sarà sancito dalle urne, ma nel frattempo non si può dire che il sottosegretario renziano si sia risparmiato. Prima ha allargato il Pd, aprendo le porte a un interminabile esercito di ras acchiappavoti con una lunga carriera nel centrodestra di Berlusconi, Cuffaro e Lombardo. Poi si è dedicato a ricucire i rapporti con gli oppositori interni: dal governatore Rosario Crocetta, che ha annunciato urbi et orbi di votare a favore della riforma nonostante per il ministro Graziano Delrio non sposti “neanche i voti dei suoi”, fino a Mirello Crisafulli, l’ex impresentabile, additato dai renziani come imbarazzante macchia del Pd in Sicilia, che adesso si è addirittura travestito da uomo sandwich per il Sì. Fondamentale per la conversione di Crisafulli il ruolo di ambasciatore recitato da Salvatore Cardinale, l’ex ministro delle Telecomunicazioni del governo D’Alema. Sì, perché pur di conquistare la Florida italiana, Renzi e i suoi hanno deciso di soffocare ogni rantolo di rottamazione. È in questo modo che Cardinale è diventato il luogotenente del sottosegretario Luca Lotti: in dote ha portato Sicilia Futura, una lista fai-da-te, nata mettendo insieme una serie di deputati regionali dall’eterogenee esperienze politiche (provenienti quasi tutti dal centrodestra) ma in grado di creare più di cento comitati, su un totale di circa 400 attivi sull’isola per il Sì alla riforma.

Gli alleati per prendere la Florida: dall’Udc scissa a Saverio Romano – Insieme a Cardinale, lavorano per il referendum anche professionisti rispettati come l’avvocato Nino Caleca, già assessore all’Agricoltura del governo Crocetta, ed Elio Sanfilippo, ex vicepresidente di Legacoop. Poi ci sono gli alleati di governo: dal Nuovo Centrodestra del ministro Angelino Alfano e del sottosegretario Giuseppe Castiglione, indagato nell’inchiesta sul Cara di Mineo e presidente del comitato “Di sana e robusta costituzione”, fino all’Udc, o meglio ai Centristi della Sicilia. Pur di appoggiare il Sì al referendum costituzionale, infatti, Giampiero D’Alia ha condotto i suoi a una scissione a colpi di offese da Lorenzo Cesa, schierato invece per il No: c’è chi giura che sarà presto ricompensato con un posto al vertice nella nomenclatura del Pd, che a Messina – città dell’ex ministro – è orfana di Francantonio Genovese, passato con Forza Italia. Ha fatto il tragitto inverso, invece, Saverio Romano: eletto alla Camera con il Pdl adesso è capogruppo dei verdiniani, ed in questa veste sostiene le ragioni del Sì, nonostante il suo storico dante causa, cioè Totò Cuffaro, si sia espresso per il No. Ma d’altra parte non seguono Cuffaro neanche quei professionisti che per primi hanno sostenuto il suo decennale sistema di potere, e cioè i medici. L’intera sanità siciliana, infatti, si è schierata ufficialmente per il e lo ha fatto in maniera ufficiale con un mega convegno al grand hotel Baia Verde di Aci Castello: trecento medici per ascoltare i deputati Giovanni Burtone e Federico Gelli. Euforico per la giornata “storica” è anche il presidente dell’Ordine dei medici di Catania: “Allo Sheraton Hotel di Acicastello – scrive agli iscritti il professor Massimo Buscema – abbiamo organizzato un incontro con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi per parlare di sanità”. Scrive Buscema che “la sanità siciliana ha bisogno di risposte in tempi brevi su livelli di assistenza, rete ospedaliera, stabilizzazioni e nuove assunzioni”. Un incontro necessario, conclude il presidente dei medici catanesi, perché “dalle urne esca una sanità rafforzata sul piano delle garanzie di equità e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”. Insomma sull’isola l’elenco dei sostenitori della riforma è molto nutrito e sopratutto variopinto.

Il fronte del No – Nonostante tutto però potrebbe non bastare. E non solo perché i sondaggi dicono che al Sud, e soprattutto in Sicilia, il No è in vantaggio di almeno 3 – 4 punti percentuali. Ma anche perché sull’isola il fronte del Sì trova fior di oppositori all’interno del Pd. Voteranno No al referendum, infatti, l’assessore regionale alla Formazione Bruno Marziano, uno degli ultimi bersaniani sopravvissuti, insieme ai deputati dem Mariella Maggio e Pino Apprendi. Oppositore della prima ora alla riforma costituzionale è poi Angelo Capodicasa, ex governatore e cofirmatario insieme ad altri nove parlamentari di una lettera all’esecutivo in cui si spiegavano le ragioni del No. La Sicilia, poi, è pur sempre la regione con il record di comuni – otto – amministrati dal Movimento 5 Stelle, che qui hanno fatto registrare il proprio exploit elettorale alle regionali del 2012. Anzi, per la verità, nel 2017 la Sicilia rischia addirittura di essere la prima regione governata dai grillini in Italia. Senza contare che due delle tre città più grandi – e cioè Palermo e Messina – sono amministrate da sindaci eletti a furor di popolo senza un vero partito alle spalle – Leoluca Orlando e Renato Accorinti – che si sono già espressi chiaramente per il No al referendum. Poi c’è il capitolo legato all’elettorato liquido, quello cioè senza una collocazione fissa, che in Sicilia è sempre più numeroso: anche se ha recentemente tentato di sganciare il referendum dal suo indice di gradimento personale, il premier sa bene che una percentuale di quei votanti si esprimerà comunque per il No solo per fare uno sgarbo al governo. Gli stessi sondaggi che lo danno per sconfitto, però, gettano un’ancora di salvezza al governo: è proprio al Sud, infatti, che il Sì ha maggiori margini di miglioramento. Ed è per questo motivo che adesso Renzi torna a Sud: per provare a prendere la Florida d’Italia, che non è ricca soltanto di mare e sole, ma soprattutto di voti.

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