La campagna a sud di Roma stride parecchio se paragonata all’orizzonte tutto uguale di Kiev, soprattutto d’inverno, quando il suolo ghiacciato si estende per chilometri. Eppure c’è chi ha scelto l’Ucraina. Luca Pennisi ha 44 anni e da maggio 2013 vive stabilmente nella capitale di un paese che negli ultimi 3 anni è sempre sui titoli dei giornali per la guerra con la Russia. In Italia la sua famiglia aveva da generazioni una rinomata pasticceria in un paese a sud di Roma: “Era casa mia, dove sono nato cresciuto, c’era dentro tutta la mia vita”.

Oltre a quello Luca si occupava della produzione di biscotti al latte di asina – prodotto distribuito nelle farmacie nazionali e rivolto ad intolleranti ed allergici al latte vaccino – e aveva aperto il suo ristorante-enoteca, La Cantina. “Lì erano esposte circa 4mila bottiglie di vino e grappe pregiate con 15 tavoli, esclusivamente su prenotazione”. Insomma, un bel business familiare, tirato su con tanto impegno e fatica da 3 generazioni. Poi arriva la crisi e tutto cambia: “Prima ancora ci fu la morte di mio padre. Già lì iniziarono alcune incomprensioni familiari, ma dopo, con la crisi, è diventato impossibile continuare”. La sua ex moglie, Inna, era tornata a Kiev dopo avere ricevuto una buona proposta di lavoro, portandosi dietro i due figli Angelo e Daniele, di 8 e 5 anni.

“Prima ancora ci fu la morte di mio padre. Già lì iniziarono alcune incomprensioni familiari, ma dopo, con la crisi, è diventato impossibile continuare”

Luca arriva così a un bivio e decide di andarsene. “Non avevo contatti là, se non la mia ex moglie, ma la voglia di stare vicino ai miei bambini era troppo forte”. Così atterra a Kiev con una proposta di lavoro da parte di un italiano: “Una persona poco seria, non mi pagava lo stipendio e procrastinava sempre. All’inizio, lo ammetto, è stato proprio un disastro. Non conoscevo nessuno e non parlavo ucraino. È stata davvero dura”.

Ma facendo leva sull’arte di arrangiarsi, con gli ultimi risparmi Luca apre un chiosco di street food italiano e pizza: “Le cose hanno iniziato ad andare meglio. Di lì a poco ho ricevuto la proposta per andare a lavorare in una pizzeria in qualità di cuoco-pizzaiolo, e ho accettato. Poi sono diventato executive chef presso un ristorante di nuova apertura: i proprietari erano una coppia proveniente dal Donbass e infine, da qualche mese, sono il responsabile di un ristorante che punta ad essere uno dei migliori di Kiev per quanto riguarda la cucina di pesce. Insomma dal punto di vista lavorativo, mi sento rinato. Finalmente apprezzato”.

“L’Ucraina guardi all’Europa per fare crescere le nuove generazioni in maniera civile e dignitosa”

Ma parlare di Ucraina rimanda alla guerra, a piazza Maidan, al Donbass e alla Crimea. “Le proteste sono iniziate 5 mesi dopo il mio arrivo a Kiev. Ho vissuto tutta questa fase storica in prima persona e ho capito molte cose. Si aveva forte la sensazione che prima o poi sarebbe successo qualcosa, ma finché non capita non te ne rendi conto”. Il risultato? “Ora ci ritroviamo un Donbass in macerie, con i separatisti che si scannano per il controllo del business degli aiuti umanitari, poi rivenduti al mercato nero russo”. Per questo, continua, spera che il governo lasci perdere quell’area occupata e che guardi piuttosto all’Europa, per fare crescere le nuove generazioni “in maniera civile e dignitosa”.

Come i suoi bambini. “Il mio tempo libero lo passo sempre con loro. In inverno non ci sono alternative, si va ai centri commerciali, dove, data la rigidità del clima, si concentrano tutte le attrazioni. In estate invece le cose cambiano. A Kiev ci sono molti parchi con molte soluzioni per il divertimento familiare. Quasi tutti i giorni andiamo sulla spiaggia, dato che casa mia è a cento metri dal fiume Dnipro, una grande arteria che taglia in due la capitale”. I bimbi, per scelta familiare, sono iscritti alla scuola statale ucraina: “Ci sono anche scuole private, ma le statali qui funzionano abbastanza bene ed abbiamo scelto di fargli fare un percorso scolastico come tutti. Poi ovviamente io gli insegno anche l’italiano”.

“Non ho certo una vita rose e fiori. Per vivere lavoro 12 ore al giorno per 6 giorni. Ma in un certo senso mi sento rinato.”

Luca non è scappato dall’Italia, come potrebbe sembrare, ma sentendolo parlare si capisce una certa disillusione. “Il mio rapporto con gli ‘indigeni’ purtroppo si limita alla sfera dei miei clienti che vengono al ristorante, quando vado ai tavoli. Per il resto zero amicizie. Dopo alcune esperienze fallimentari ho capito che molto spesso l’amicizia non è disinteressata, quindi mi guardo bene dal ripetere gli errori, tiro avanti con quei pochi affetti che mi rimangono e del resto poco mi importa”. Ma l’Ucraina ha dato la possibilità a Luca di un nuovo inizio dopo avere perso tutto con la crisi. “Non ho certo una vita rose e fiori. Per vivere lavoro 12 ore al giorno per 6 giorni. Ma qui in un certo senso mi sento rinato. La vita è più semplice, più spartana. Qui ho quello che l’Italia non poteva più garantirmi: la sicurezza per il mio futuro e soprattutto quello dei miei figli. A me interessa solo quello”.

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