Nelle questioni legate al cambiamento climatico la donna dovrebbe essere uno dei punti di riferimento per ogni discorso, a causa della sua importanza nella società e della sua maggiore vulnerabilità. Nel dibattito internazionale, al contrario, la rappresentanza femminile non è proporzionata ai rischi cui le donne sono esposte in caso di disastri ambientali. Nel contesto dell’imminente COP22 di Marrakech, è importante presentare il lavoro di quante, diplomatiche o attiviste locali, si stanno distinguendo nel campo della giustizia climatica.

di Federica Pastore

Esiste un forte legame tra il mondo del lavoro e la giustizia climatica, e Sharan Burrow, Segretario Generale dell’Ituc (International Trade Union Confederation), ne è la più autorevole portavoce a livello internazionale. “Non ci sono lavori su un pianeta morto”, afferma con tono deciso la prima donna chiamata a dirigere la Confederazione Sindacale Internazionale. Più che uno slogan, è un’importante presa di coscienza di come il cambiamento climatico incida su molti aspetti della nostra vita, tra cui quello lavorativo.

Nata nel 1954 a Warren, in Australia, in una famiglia fortemente impegnata nel movimento laburista, si è laureata in Scienze dell’Educazione alla University of New South Wales e ha lavorato i primi anni come insegnante. Da lì, ha iniziato a prendere parte alle prime associazioni di categoria fino a diventare, nel 1992, Presidente dell’Australian Education Union. Una carriera in ascesa che l’ha portata negli anni 2000 ad essere eletta Presidente prima dell’Australian Council of Trade Unions (Actu) e successivamente dell’Ituc, di cui è l’attuale Segretario.

Nel suo discorso di insediamento ha fin da subito sottolineato la necessità di una maggiore partecipazione femminile nel mondo del lavoro e dei sindacati, non solo come esigenza morale, ma anche come investimento per la democrazia e lo sviluppo. Grazie al suo ulteriore ruolo all’interno del Comitato Consultivo del Climate Justice Dialogue –  iniziativa lanciata dalla Mary Robinson Foundation  e il World Resources Institute – i temi dell’equità di genere  e della giustizia climatica sono sempre più prioritari nell’agenda politica internazionale: le donne sono attori fondamentali per l’azione climatica e per la società, e il loro coinvolgimento deve essere accompagnato da un piano efficace di decarbonizzazione dell’economia.

Secondo Sharan Burrow, la soluzione per affrontare il cambiamento climatico e attuare la transizione verso un futuro a emissioni zero è una sola: un’economia più “verde“, che garantisca investimenti in nuove tecnologie sostenibili ed energie rinnovabili, e la creazione di nuove opportunità lavorative.

Unions4Climate, la campagna lanciata nel 2014 dalla Burrow all’interno dell’Ituc, nasce proprio con lo scopo di supportare questa transizione attraverso il lavoro e la responsabilità di tutte le associazioni di lavoratori nel mondo. Come? Innanzitutto, è necessaria una forte azione di advocacy per far sì che gli obiettivi e gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi siano rispettati. A tale azione si deve unire la partecipazione dei lavoratori e delle associazioni sindacali nei processi decisionali riguardo ai piani nazionali per la trasformazione del sistema industriale, oltre che l’attuazione di misure che garantiscano agli stessi la sicurezza del loro posto di lavoro in un contesto di transizione verso un settore più sostenibile e carbon low.

Il cambiamento climatico, infatti, minaccia il settore lavorativo su più fronti: perdite di lavoro, danni agli assetti aziendali, impatti negativi sulla produttività e migrazioni forzate. Un’efficace azione climatica, invece, può garantire la riduzione della povertà, una maggiore inclusione sociale e la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro.

Le prove sono evidenti già oggi. Gli investimenti nelle fonti di energia rinnovabile in Germania, ad esempio, hanno dato lavoro a ben 370.000 persone, il numero più alto in Europa. L’industria solare statunitense sta creando lavoro 20 volte più velocemente rispetto all’intera economia, mentre il mercato cinese delle energie rinnovabili è il più grande al mondo, con più di tre milioni di lavoratori nel settore. Non è un caso, quindi, se in base all’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie) il 2015 è stato l’anno in cui – per la prima volta – le energie rinnovabili hanno rappresentato più della metà della capacità netta di energia raggiunta, con il record di 153 GW (il 15% in più rispetto all’anno precedente).

La strada è ancora lunga, ma come afferma Sharan Burrow: “La trasformazione del sistema industriale in modo sostenibile è sia un imperativo sia un’opportunità”. Lo stesso vale per la giustizia climatica, e il prossimo passo sarà la COP22 di Marrakech.

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