Oltre le vetrine che affacciano su via Milano, in pieno centro a Torino, c’è una storia, e per ripercorrerla bisogna attraversare 16 carceri italiane. E’ al di là delle sbarre delle case circondariali dislocate lungo tutta la Penisola, tra la Sicilia e la Valle d’Aosta, infatti, che vengono confezionati i prodotti in vendita nello store FreedHome, il primo in Italia dedicato al commercio del made in carcere. I dolci, ad esempio, li preparano i detenuti della Banda Biscotti, a Verbania, i cosmetici arrivano dalla Giudecca di Venezia, e il caffè proviene dalla casa circondariale di Pozzuoli, in provincia di Napoli. Ancora, sugli scaffali del negozio si trova la pasticceria siciliana di Sprigioniamo Sapori, carcere di Ragusa, gli oggetti realizzati dal laboratorio di stamperia del penitenziario di Torino, e poi prodotti da forno, bottiglie di vino, snack salati, fino agli oggetti di design, alle magliette e alle borse colorate.

“Il progetto – spiega FreedHome, realtà che riunisce un gruppo di cooperative sociali che operano all’interno degli istituti di pena italiani – vuole ribadire forte e chiaro che l’economia carceraria è la chiave di volta per ripensare in modo efficace il sistema carcerario italiano. Il negozio, quindi, non è solo un punto vendita: Freedhome rappresenta la voce delle tante realtà che ogni giorno dimostrano la forza riabilitativa del lavoro, portando valore, professionalità e voglia di fare nel sistema penitenziario del nostro Paese”. Progettato durante la giunta Fassino, e portato avanti dal sindaco Chiara Appendino, lo store è di proprietà del Comune di Torino, messo a disposizione del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria di Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, che lo ha dato in uso a Extraliberi, cooperativa che lavora nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. E più che un negozio, è il risultato di un percorso di collaborazione tra istituzioni, cooperative, agenti della polizia penitenziaria, professionisti, detenuti e volontari.

E’ un laboratorio di idee, ed è la dimostrazione che quanto dice la legge 354 del 1975, e cioè che il lavoro nelle carceri è uno dei fattori fondamentali per la riabilitazione dei detenuti, sia la verità. Siamo convinti che nei penitenziari esista un grande potenziale ancora da scoprire: le storie delle esperienze di economia carceraria, delle persone che coinvolgono, delle speranze che racchiudono. Ma soprattutto, delle certezze che sanno esprimere”. Inaugurato a fine ottobre, le cooperative di FreedHome sperano che lo store piemontese sia solo il primo di una lunga serie. Il prossimo aprirà a Genova, mentre dietro al bancone di Torino si procederà con l’inserimento lavorativo di un ex detenuto.

“Oggi in Italia 1.000 detenuti su 50 mila impiegano il proprio tempo lavorando in carcere per un’impresa e portano avanti ogni giorno progetti in ambiti diversi: alimentare, artigiano, tessile, manifatturiero. Queste attività sono strumenti attivi d’integrazione, per questo è stato creato un negozio che dia piena espressione a questo valore, facilitando la commercializzazione dei prodotti made in carcere dopo diverse esperienze temporanee e la partecipazione a fiere ed eventi di settore”.

Al di là del percorso sociale rappresentato dal progetto, poi, c’è anche la qualità dei prodotti in vendita. “C’è chi li compra come gesto politico, per contribuire a sostenere un progetto che ha dentro un valore sociale, chi li preferisce a un prodotto qualunque, perché crede che tutti abbiano diritto a fare qualcosa di buono, e chi li sceglie perché sa che il lavoro in carcere è uno degli antidoti più potenti all’insicurezza delle nostre città. Tutto giusto, ma noi speriamo anche che chi compra i nostri prodotti lo faccia soprattutto perché sono buoni, belli e ben fatti. E lo sono davvero, credeteci”.

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