Il Monte dei Paschi di Siena? “Un affare“. Parola di Matteo Renzi, che nel corso della trasmissione Faccia a Faccia è tornato a parlare dell’istituto di credito senese che affronta una difficile ricapitalizzazione. “Il 22 gennaio lei diceva che la banca era risanata e che investire era un affare”, fa notare al presidente del Consiglio il conduttore Giovanni Minoli. “Lo penso tutt’ora – risponde senza esitazione il premier – e credo che se ci sia un investitore italiano o straniero che voglia investire nella banca sia un affare”.

Un ottimismo che contrasta con i dubbi che aleggiano su Mps, istituto che ha bisogno di mezzi freschi per almeno 5 miliardi di euro, mentre il suo valore di mercato supera di poco i 600 milioni. La prima a essere preoccupata è Mediobanca che, assieme a Jp Morgan, assiste l’istituto nel programma di ricapitalizzazione. “E’ molto importante, non solo per Mediobanca, dare un contributo alla soluzione del problema di Mps, che è una banca di rilevanza sistemica – ha spiegato pochi giorni fa agli azionisti Alberto Nagel, ad dell’istituto di Piazzetta Cuccia – una situazione di incertezza relativa alla terza banca italiana provoca un problema che è un multiplo di quello che abbiamo visto a novembre quando è stato effettuato il salvataggio delle quattro banche (Popolare Etruria, CariChieti, Banca Marche e CariFerrara, ndr). E’ un’alternativa molto brutta, in cui dobbiamo fare tutto il possibile per non trovarci”.

Si lavora, dunque, per evitare il peggio. Intanto però l’ottimismo del capo del governo è ancor meno giustificato per via di un’altra circostanza: Jp Morgan e Mediobanca non hanno trovato alcun investitore disposto a partecipare alla ricapitalizzazione con risorse importanti e la banca rischia di finire in risoluzione.

Una ricapitalizzazione che, ulteriore elemento di incertezza, secondo lo stesso istituto dipende dall’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre: lo si legge nel documento all’assemblea degli azionisti sull’aumento di capitale convocata per il 24 novembre: “I riscontri ottenuti dalle banche del consorzio” di collocamento evidenziano la “sostanziale indisponibilità manifestata dagli investitori istituzionali ad assumere importanti decisioni di investimento relative a società italiane prima di conoscere l’esito del referendum costituzionale”.

Argomento che il premier affronta con la consueta verve. A partire dalla questione sondaggi, che vedono in vantaggio il “No”: “Un politico vero i sondaggi non li commenta, li cambia”. Neanche lo spauracchio dello spread spaventa il premier: “Non mi preoccupa, anche in caso di vittoria del no, io non agito le bandierine. Certo, se non si fanno le riforme l’Italia è finita”.

Ciò di cui il Paese non ha bisogno, invece, è un nuovo programma di privatizzazioni: “Non ci sarà nessuna patrimoniale e nessun aumento delle tasse, il sistema economico italiano è più solido di quello che si crede dai report. Nel 2015 abbiamo privatizzato le Poste, prenderle e portarle in borsa non è stata una passeggiata di salute, in Italia abbiamo privatizzato anche troppo, non serve una nuova Iri, si tratta di un sistema che ha funzionato in passato prima che ci mettessero le mani ai partiti”.

Ora una partita importante per il Paese si gioca in Europa: i Paesi dell’Est non vogliono partecipare alla redistribuzione dei migranti e sono contrari a concedere all’Italia fondi per gestire i flussi migratori. Resta da capire anche se Bruxelles accorderà la flessibilità necessaria a investire nella ricostruzione dei centri distrutti dal terremoto. Renzi ribadisce: “Se loro continuano così, certo che non firmerò il bilancio” dell’Unione Europea. Questa Europa va cambiata, ribadisce il premier: “Io sono obamiano, dico che l’Ue deve investire sulla crescita e nel 2017 porremo il tema del fiscal compact”.

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