Se la musica è linguaggio, si potrebbe partire da qui. Alla prima Leopolda del 2010 – nata dalla sinergia con Pippo Civati, durata come un gatto su viale Spartaco Lavagnini – c’era Viva la vida dei Coldplay. All’ultima del 2015, la canzone più ascoltata era un pop-rock degli American Authors e la fonte è primaria, la top ten pubblicata dall’Unità (e c’era anche tanta dance). Sabato scorso, a piazza del Popolo, manifestazione del Pd per il Sì, Matteo Renzi è salito sul palco per il suo discorso finale con O sole mio, per giunta muovendo la bocca in una specie di playback. Se i simboli hanno un senso, nel 2010 Renzi era scamiciato e nel 2015 era salito sul palco con abito blu e cravatta rossa. E sempre se i simboli hanno un senso le bandiere no, non c’erano prima e non c’erano poi. Se il vocabolario porta un messaggio, nel 2010 la Leopolda parlava di “popolo“, “territori“, “primarie sempre“, schifava la parola leader “che porta sfiga”, invocava parole d’ordine su ambiente, diritti, banda larga, mentre nel 2013 il mantra era diventato “semplicità“: per la legge elettorale, per le riforme istituzionali, per il lavoro, per il partito (“che sarà senza correnti”, sì bum). E nel 2015, all’ultimo giro, si parlava già al passato: “Guardate che casino abbiamo combinato, abbiamo rovesciato il sistema politico più gerontocratico”, come se la missione fosse compiuta.

E ancora: se la parola ha un significato, la parola “futuro” era nel nome della convention del 2013, che fece da Cape Canaveral per il definitivo lancio dei leopoldini alla conquista del potere, e ancora resisteva nel 2014 quando si poteva sbattere sul tavolo l’orgoglio del 40,8 per cento. E il “futuro” era sparito lo scorso anno perché sembrava diventato “presente”: alla prima vera Leopolda di governo chi prima immaginava un mondo diverso era diventato finalmente classe dirigente, cioè spoils system, (“non è mica colpa mia se in questi anni abbiamo invitato tanta gente perbene e brava”) e viceversa la classe dirigente era diventata leopoldina, visto al microfono della vecchia stazione di Firenze si presenta perfino Piercarlo Padoan. E ora quella parola – “futuro” – ritorna nel nome della Leopolda 7, la terza di governo: “E adesso il futuro“. Sul palco 4 citazioni che parlano del tempo che verrà, che in politica vince sempre.  “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni” di Eleanor Roosevelt; “Non ci può essere progresso se le persone non hanno fiducia nel domani” di John Fitzgerald Kennedy; “Il futuro è ciò che costruiamo” di Tim Berners Lee; “Sembra sempre impossibile fino a quando non viene fatto” di Nelson Mandela.

Il futuro, cioè, è tra un mese, dentro le urne.

Ecco il bignami – attraverso i resoconti dell’Ansa – su come il partito parallelo di Renzi, senza bandiere e fondato sempre più sul leader più che sui territori, è cambiato dal 2010 a oggi.

Leopolda 2016, Renzi e la convention extra Pd: com’è cambiato il posto in cui il futuro non diventa mai presente

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