Sbagliano, i 5 Stelle, ad avercela con Eugenio Scalfari. Ieri il venerabile fondatore di Repubblica è stato encomiabile nel portare voti al M5S e al “No”. Di fronte a un Alessandro Di Battista che si era preparato per giorni davanti allo specchio per stare calmo e ostentare rispetto nei confronti di un intellettuale, per evitare così il rischio di apparire “il giovane arrogante che non ha rispetto del vecchio maestro”, Scalfari ha condensato in mezz’ora tutti gli stereotipi, i sentito dire e le falsità sui 5 Stelle. In più, seraficamente, ha detto che scrive e telefona di continuo a Renzi per esortarlo a togliere il ballottaggio dall’Italicum, perché altrimenti vincono i grillini e l’Italia muore. Alè. Si è anche intuito che Renzi sia d’accordo con questa idea così illuminata di democrazia, secondo cui sei democratico se operi per far vincere il Pd e sei un criminale se il Pd (a causa peraltro di una legge che si era scritto da solo per far fuori il M5S) perde.

Scalfari, con la sua consueta velocità fantascientifica di esposizione, ha anche – seraficamente – detto che il Sì al referendum è una gran cosa, perché così facendo il nuovo Senato sarà in mano al Pd, che controlla già gran parte delle regioni: avere un Senato democraticamente eletto, lo capite bene, sarebbe davvero populista. Volgare. Per dirla coi salotti buoni di Largo Fochetti: “disdicevole”.

Mentre Di Battista continuava a guardarlo con un mix di “ti rispetto”, “che diavolo stai dicendo Willis” e “continua così che mi fai un gran favore”, Scalfari ha poi parlato delle guerre puniche, di quella volta che cenò con Vercingetorige e di quell’altra volta in cui giocò a bridge con Marx, esortandolo a mostrare Il Capitale a Napolitano prima di pubblicarlo per averne la sacra approvazione. Bei momenti.

Non sono mancati altri grandi sussulti. Ad esempio l’insulto – agile, in scioltezza – a quei milioni di stronzi che hanno votato e votano M5S (“Fate ridere”), la solita litania sul fatto che i 5 Stelle sono tutti comandati da “un comico ricco”, gli accenni a caso a Farage, l’Europa, la sinistra, la Calabria e i fantasmagorici giri “in bicicletta” compiuti per “un anno” da Di Battista. Scalfari, nella sua infinita democrazia, parlava ogni volta mezz’ora esigendo il silenzio, mentre non appena parlava Di Battista era solo “un gran parlatore” (cioè un parolaio) che si poteva tranquillamente interrompere (“Taccia e mi faccia parlare”). Un’altra prova del suo gran concetto di democrazia, più o meno così riassumibile: “Noi siamo i buoni e possiamo fare quello che ci pare, voi siete populisti deficienti quindi sukate”. Vamos.

Perla finale l’esortazione di Scalfari a Di Battista: “Perché non ha scelto la sinistra? Ad esempio Berlinguer?”. Forse perché Berlinguer è morto quando Di Battista aveva sei anni, e forse perché dopo Berlinguer la sinistra è diventata quel che è diventata. Fino a non diventare niente: cioè Renzi.

In neanche un’ora, Scalfari ha riassunto tutti i motivi per cui i renzini non toglieranno neanche mezzo voto ai grillini, casomai viceversa. I 5 Stelle dovrebbero proprio ringraziarlo. E secondo me, dopo la puntata, Di Battista l’ha fatto davvero.

P.S. Dopo Otto e mezzo, a Piazzapulita c’era la Boschi. In quel salotto, e in generale in tivù, non la si vedeva da un po’. E’ stata bravissima: 3,73% di share, ovvero la prova peggiore di un (ottimo) programma che quest’anno sta andando bene. Maria Elena, ormai, è una garanzia: quel che tocca, le somiglia.

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